di Massimo Mastruzzo*
Nella maggior parte dei casi chi parla di residuo fiscale ignora che James Buchanan ne ha introdotto il concetto nel 1950 definendolo come la differenza per singolo individuo tra tasse pagate e servizi ricevuti.
Tale concetto non è nato per dimostrare che i ricchi dovrebbero pagare più tasse, e nemmeno per portare i residui fiscali a zero, perché vorrebbe dire che un povero riceve servizi miserabili in base alle tasse che paga, piuttosto tale esigenza di misurazione è nata solo per fare in modo, negli Stati Uniti, che qualsiasi cittadino spostandosi da uno stato all’altro non avesse minori diritti in base alle ricchezza o meno di un territorio.
Buchanan infatti sosteneva, che per avere l’equilibrio, gli Stati agiati avrebbero dovuto trasferire risorse ai meno agiati. In tal modo il residuo fiscale individuale dovrebbe rimanere lo stesso in ogni paese. Ovvero, per un cittadino in Italia significherebbe che trasferirsi a Reggio Emilia o Reggio Calabria dovrebbe essere equivalente, anche perché le tasse che quel cittadino pagherebbe a Reggio Calabria sarebbero le stesse di quelle di Reggio Emilia.
Questo perché li scopo delle tasse non è tanto trasferire risorse da chi è danaroso a chi possiede meno ma costruire insieme ciò che i singoli non riuscirebbero a fare.
A trasformare il concetto di residuo fiscale fu la Banca d’Italia che nel 2009 (anno in cui Roberto Calderoli mette a punto il federalismo fiscale) dimentica la motivazione per cui è nato il concetto di residuo fiscale e pone in essere 2 tipologie di residuo fiscale.
- La somma dei residui fiscali individuali, per cui se in un luogo ci sono più benestanti o risiede, ad esempio, Silvio Berlusconi, pagherà più imposte e il residuo fiscale sarà negativo;
- Deriva dalla decisione politica: se si decide di investire in un territorio dove i redditi sono più bassi aumenta il residuo fiscale.
La Banca d’Italia non fa distinzione delle tipologie di residuo fiscale per territorio , altrimenti si sarebbe dovuto evidenziare che il mezzogiorno è trattato peggio sia per quanto riguarda la spesa corrente che gli investimenti.
Le persone meno, e soprattutto male informate tendono a sintetizzare il concetto economico errato di capacità produttiva legata al residuo fiscale. Questa distorsione del concetto accade perché un tipo di informazione di primo livello, fatta da giornali e mezzi di comunicazione che tendono a:
- Non informare sul corretto concetto di residuo fiscale;
- A non evidenziare i dati certificati da Banca d’Italia , Svimez e Eurispes e RAGIONERIA DELLO STATO che dimostrano quanto accade da sempre: minori risorse al sud, (840 miliardi in 17 anni) .
Minore risorse e minori investimenti significa minore reddito procapite che naturalmente influenza il residuo fiscale, situazione che nelle persone (volutamente?) male informate fa credere erroneamente che a generare più o meno residuo fiscale sia un territorio più o meno bravo di altri, e di conseguenza che un territorio merita di avere più o meno in base, appunto, al proprio residuo fiscale.
Sarebbe come sostenere che siccome le donne guadagnano di meno e versano per questo meno tasse, gli uomini avrebbero diritto ad avere più ospedali, più scuole, più strade…più diritti.
Regioni come Lombardia o Veneto non sono più brave, ma nel tempo hanno ricevuto molte più risorse di altre regioni (in Lombardia più treni che in tutto il Sud)
sia come spesa corrente che come investimenti, e non di meno, anche fondi nati per il sud.
Dimostrare che una autostrada o una ferrovia è più utile costruirla in un territorio che ne è carente, non dovrebbe essere, articolo 3 della Costituzione alla mano, l’esercizio più difficile del mondo.
Lo sviluppo di nuove infrastrutture, ma anche rinnovati piani di manutenzione di quelle esistenti, sono i pilastri fondamentali delle strategie di ripartenza e di rilancio delle economie di tutti i paesi.
Purtroppo questo non avviene nel Sud Italia, eppure gli investimenti nelle infrastrutture creano nel breve termine nuovi posti di lavoro e muovono l’economia dell’indotto diretto e indiretto, mentre nel lungo periodo sono in grado di aumentare la competitività del territorio, con evidentemente un impatto notevole nel residuo fiscale locale.
Gli economisti difatti generalmente ritengono che la spesa per le infrastrutture abbia un significativo “effetto moltiplicatore”: ogni unità di moneta spesa in infrastrutture genera un ritorno economico superiore in termini di aumento del Prodotto interno lordo (Pil) e dell’occupazione, e l’effetto moltiplicatore è particolarmente efficace se le infrastrutture vengono realizzate nei territori dove sono carenti.
Lo spiegano bene gli economisti Alberto Quadrio Curzio e Marco Fortis nel loro libro “L’economia reale del Mezzogiorno”, dove sostengono che se l’Italia scommettesse sullo sviluppo industriale del sud nel giro di pochi anni diventerebbe economicamente più forte della Francia e della Germania, arrivando addirittura ad essere il primo in Europa con il sud sviluppato ai livelli di alcune aree del nord, sostanzialmente che far crescere il sud sarebbe un affare per l’Italia intera.
*Direttivo nazionale MET
Movimento Equità Territoriale
(18 maggio 2025)
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