LEP, acronimo di incostituzionalità che nella sua mancata applicazione nasconde la disomogeneità territoriale italiana

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di Massimo Mastruzzo*#Politica

I LEP sono i Livelli Essenziali delle Prestazioni, soldi, che lo stato dovrebbe destinare nella stessa quota di spesa pubblica pro capite in tutte le regioni d’Italia (qui il programma La Vasca ei Pesci TV dove Massimo Mastruzzo parla del LEP).

Significa che per ogni cittadino ci dovrebbe essere una quota X che viene destinata dalla ripartizione della spesa pubblica, e questa X dovrebbe essere uguale per tutti, in ogni parte d’Italia. Ovvero i LEP dovrebbero stabilire quanto ogni cittadino italiano da Reggio Calabria a Sondrio dovrebbe avere se la legge entrasse in vigore. Mi riferisco alla legge 42 del 2009 sul federalismo fiscale cui primo firmatario è stato il leghista Calderoli. Ho fatto abuso del condizionale perché l’idea originaria della Costituzione di un Federalismo efficiente e insieme solidale non è stata mai applicata, ed il motivo di questa mancata applicazione di un diritto costituzionale e quanto di più divisivo possa rendere un Paese:

  • il federalismo fiscale prevedeva di superare il criterio della spesa storica, che funzionava così – tanto spendi tanto ti viene dato dallo Stato.

Nella convinzione, alimentata dall’assurdo pregiudizio nazionale, che il sud ricevesse più del dovuto, fu avviata una ricerca sulla redistribuzione della spesa storica affinché venisse sostituita con il fabbisogno standard, i LEP appunto. Per fare questo Lo Stato avrebbe dovuto stabilire quali sono i servizi essenziali a cui ha diritto un cittadino su tutto il territorio italiano, e per evitare sprechi di decide di calcolare il costo corretto di questi servizi, ovvero il Fabbisogno standard che dovrebbe essere finanziato integralmente. Ma i livelli essenziali delle prestazioni non sono mai stati attuati. I Motivo? I dati sulla ricerca della redistribuzione della spesa storica furono scioccanti.

A fare questa scoperta fu proprio lo stesso Giancarlo Giorgetti, che oggi riscopre il ruolo di ministro dello sviluppo economico, ma dal 2013 al 2018 fu presidente della bicamerale per il federalismo fiscale, che nel leggere i dati richiesti e ricevuti dal ministero dell’Economia sulla redistribuzione dei fondi, rendendosi conto dell’assurda incostituzionalità di quanto quelle cifre stessero dichiarando, visto che  i dati al 100%, come previsto dalla legge, probabilmente potrebbero essere scioccanti, magari ce le fate aver in modo riservato o facciamo una seduta segreta come avviene in commissione antimafia”

Questi dati in effetti sono così tanto scioccanti che se vai in due comuni italiani che hanno lo stesso nome e lo stesso numero di abitanti, come ad esempio Reggio Emilia e Reggio Calabria, dato appunto che i LEP non ci sono, e i fabbisogni continuano ad essere stabiliti principalmente sulla base della spesa storica: “tanto avevi speso tanto ti do” , sembra di trovarti in due nazioni diverse, addirittura in epoche diverse:

  • A Reggio Emilia, che offre più servizi, viene riconosciuto un fabbisogno standard di 139 milioni;
  • Reggio Calabria, che di servizi ne ha molti meno, 104 milioni: 35 milioni di euro in meno, pur avendo quasi 10 mila abitanti in più.
  • Un neonato di Reggio Calabria ha diritto a 570 euro di spesa pubblica pro capite;
  • Un neonato di Reggio Emilia a 700.

E questo accade ogni anno, con dati visibili dal 2009, perché prima avveniva senza avere contezza, anzi pensando che avvenisse esattamente il contrario, il che moltiplicato per ogni comune del sud porta, ripeto almeno dal 2009, ad una mancata assegnazione di circa 60 miliardi di euro ogni anno.

Oggi in Italia ci ritroviamo in una condizione dove partiamo da due livelli (indico con le mani la distanza), qui in alto ci sono le regioni più avanti, qui in basso le regioni più indietro, per fare un processo di livelli essenziali senza metterci soldi, quindi a parità di risorse, si dovrebbe fare così (indico con le mani l’abbassamento delle regioni ricche e il rialzo di quelle più povere)  far chiudere, ad esempio, gli asili a Reggio Emilia per far aprire quelli mancanti a Reggio Calabria. È ovvio che invece che il processo da mettere in corso è questo (indico con la mai la risalita delle regioni più povere verso il livello delle regioni più ricche) far avvicinare le regioni più indietro a quelle già avanti, e si potrebbe, solo allora parlar,e finalmente di Italia unita.

Non a caso di questa assurda e incostituzionale disomogeneità territoriale se ne accorta anche l’Europa, e non a caso i criteri per la ripartizione dei fondi europei, che ricordo essere:

  • Direttamente proporzionale alla Popolazione;
  • Inversamente proporzionale al livello del Reddito pro-capite;
  • Direttamente proporzionale al tasso di disoccupazione medio degli ultimi 5 anni;

sono stati indicativi di un percorso di investimenti che vadano nella direzione della coesione sociale.

La UE ha dato delle chiare indicazioni al governo nazionale sul dove, ma anche sul come, devono essere investiti la maggior parte di quei 209 miliardi, assegnati nella quota maggiore all’Italia proprio perché il sud del Paese è risultato essere nella peggiore situazione, tra gli stati membri della UE, rispetto a due criteri stabiliti per la ripartizione: minor reddito pro-capite e maggior disoccupazione. Un binomio che se non invertito porterà inevitabilmente ad un punto di non ritorno: la desertificazione umana e industriale di diverse aree del mezzogiorno d’Italia.

Poiché la pandemia ha messo a dura prova anche le economie più solide del centro e nord Europa, non è immaginabile una ripartenza dell’Europa senza la stabilizzazione economica di tutte le economie europee, di cui quella italiana costituisce un tassello importante.

A contempo, non ci potrà essere una ripresa del nostro Paese senza curarsi di rafforzare l’anello debole della nostra economia: il Mezzogiorno e le aree interne d’Italia.

Tale vasta macroarea italiana ed europea, in ritardo di sviluppo e con un gap infrastrutturale che rallenta e rende difficoltosissimo qualsiasi sforzo imprenditoriale, costituisce il punto di partenza imprescindibile per rilanciare l’economia di tutta la nazione.

Uno dei punti cardine della strategia dell’Unione Europea è, oltre alla coesione sociale, anche quella territoriale. Il gap infrastrutturale tra nord e sud costituisce uno dei fattori di penalizzazione del territorio meridionale e dell’economia di tutto il paese. È interesse dell’Italia e dell’Europa tutta, la rimozione di questo stato di cose.

Interventi sulle reti ferroviarie e stradali, nonché investimenti nel settore dell‘Alta Velocità sono inderogabili. Tali interventi devono avere le stesse caratteristiche tecniche e di servizi già realizzati nel resto del Paese, sia per il completamento del corridoio Scandinavo – Mediterraneo, che per quello Baltico – Adriatico con estensione fino alla Puglia. Lo sviluppo delle aree portuali e della logistica del Mezzogiorno, con l’allacciamento dell’intera area meridionale al complessivo sistema portuale e logistico italiano attraverso i due citati corridoi e le relative interconnessioni multimodali, non solo consentirebbero la presenza strategica dell’Europa e dell’Italia nel Mediterraneo (punto nevralgico del trasporto merci mondiale), ma favorirebbero anche la velocizzazione dei trasporti, rispetto alla situazione attuale, con risparmio di tempo ed energie e con un sensibile vantaggio a favore dell’ambiente. Molte delle opere necessarie sono approvate, cantierabili e finanziate, ma non si comprendono le ragioni per le quali continuino a restare ferme. Uno dei punti cardine di una simile strategia d’investimenti, è la realizzazione del collegamento stabile sullo Stretto, senza il quale, gli investimenti fatti e quelli da completare non integrerebbero efficacemente il corridoio Scandinavo-Mediterraneo. L’opportunità di formalizzare l’estensione e il completamento, fino in Puglia, del corridoio Baltico-Adriatico con caratteristiche AV/AC è data dalla possibilità di rivedere la rete Core della TEN-T entro la prossima primavera, come

  • previsto e consentito dalla stesse istituzioni europee competenti.

Infine, la logistica risulterebbe fortemente rafforzata con lo sviluppo complessivo

della portualità meridionale, integrando quest’ultima con la restante portualità italiana ai fini di una maggiore competitività generale del sistema logistico italiano (per merci e per passeggeri). Ciò sarebbe possibile partendo da Taranto, Gioia Tauro, Augusta, Salerno e gli altri porti meridionali, attraverso processi di digitalizzazione delle attività e dei controlli (sanitari, security e safety) e utilizzando al meglio gli spazi presenti negli ampi retroporti – attraverso la maggiore velocità dei tempi di lavorazione e trasferimento grazie alla piena integrazione alla rete TEN – T nella sua realizzazione integrale.

Il programma della proposta del M24A- ET contiene una completa e dettagliata esposizione degli interventi che contemplano, oltre all’esecuzione prioritaria di tutte le opere previste dal precedente ciclo di programmazione, anche quella delle altre opere indispensabili da finanziare con il Recovery Fund, come, ad esempio nel settore dei Trasporti, i completamenti dei Corridoi Scandinavo-Mediterraneo e Baltico-Adriatico, il collegamento stabile sullo Stretto, il rilancio della rete di trasporto, della portualità e logistica meridionale.

L’italia tutta può ripartire, deve solo avere il coraggio di farlo partendo dal Mezzogiorno.

*Direttivo nazionale M24A-ET | Movimento per l’Equità Territoriale

 

(8 aprile 2021)

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