Migrazione delle Mafie dal Sud: immote convinzioni e malafede granitica

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di Alfredo Falletti

Era il 1875 quando l’On. Tajani di allora scandalizzò con le sue parole l’intero Paese appena “unito” e già alle prese al Sud con quel fenomeno mafioso sorto grazie all’aiuto dato alle bande garibaldine affinché avanzassero dopo la recita dello sbarco a Marsala, protette dalle cannoniere inglesi.

Tajani, ex magistrato che si era occupato delle collusioni mafia/esercito/politica/polizia, una sorta di trattativa Stato/mafia ante litteram, ebbe a dichiarare che “la mafia che esiste in Sicilia…non è invincibile di per sé, ma solo perché è strumento di governo locale” ed oggi si aggiungerebbe “…in assenza dello Stato”. Del resto ci pensava l’esercito a rappresentare lo Stato invasore con le stragi di civili e i massacri di patrioti anti sabaudi che chiamarono “Briganti”.

Fin da allora, dunque, qualcuno affermava che la mafia in Sicilia fosse assolutamente concreta e visibile nonostante le complici e corree espressioni che, invece, fino a qualche anno fa, perfino a livello istituzionale, ne negavano l’esistenza. Tutti i governi post unitari, sino ai giorni nostri hanno sempre avuto ben chiara l’esistenza del fenomeno mafioso, che ha determinato e condizionato tutta la storia del Sud e soprattutto della Sicilia, ancora oggi una sorta di colonia penale d’oltremare, sacrificabile.

Lo Stato unitario ha lasciato piena facoltà di azione alle baronie locali ed al loro braccio armato intervenendo alla bisogna con l’esercito (non ultimo l’intervento della Brigata Aosta ridotta a mal partito dal cosiddetto bandito Salvatore Giuliano) creando quella odiosa “Questione Meridionale” della quale fu studioso attento Pasquale Villari che nelle sue “Lettere” (1878) rappresentò le già chiare argomentazioni che sono la chiave per comprendere la frattura tra il Meridione ed il resto di quell’Italia che nei fatti non è mai stata unita: inadeguatezza delle classi dirigenti meridionali posizionate dal Governo piemontese; la drammatica piaga dell’emigrazione fino a quel momento sconosciuta; la profonda frattura economica e civile tra Sud e Nord in costante aumento.

Ma ogni cosa è soggetta e mutazioni profonde e già nei primissimi anni ’60 iniziò ad essere visibile agli occhi più attenti: Leonardo Sciascia ne Il giorno della civetta (1961), per primo indicò un fenomeno che si propagò velocemente e che lui definì “la linea della palma” ovvero quel limite territoriale entro il quale le condizioni consentono alla palma di sopravvivere, confine che, man mano le condizioni climatiche si scaldano,  si sposta verso nord alla ricerca di acqua.

La “linea della palma” mafiosa, si stava spostando a nord. Il progressivo impoverimento della Sicilia e l’aumento dei flussi di denaro si erano spostati a nord con l’industrializzazione esasperata, il boom economico fatto di edilizia, infrastrutture, ferrovie, autostrade in piena espansione mentre al sud rimanevano bei panorami e ottimi panorami e splendide sceneggiature per film sull’emigrazione di Pietro Germi, Francesco Rosi e Luchino Visconti. L’emigrazione della mafia non è la sola mutazione, ma la sua diversificazione ha seguito la globalizzazione infiltrandosi in ogni tessuto economico, sociale e politico che si potesse infestare in un inestricabile intreccio tra finanza ai limiti della legalità o legalizzata con fondi ripuliti, politica europea e mondiale tra Sudamerica, Asia, Stati Uniti, Russia e Cina operando nel riciclaggio di proventi illegali ed in operazioni off shore, speculazioni su tutti i mercati internazionali realizzando astronomici investimenti economici ben difficilmente tracciabili. Un vero e proprio sistema che muta con i tempi e si infiltra sempre più nella politica che determini le politiche economiche del Paese diventando essa stessa entità politica che detti le procedure ad essa stessa convenienti. E non è un gioco di parole.

Rimanere ancora legati all’immagine del Don Vito Corleone o peggio del mafioso da sceneggiato televisivo significa essere lontani anni luce dalla realtà. Ancor peggio rimanere legati al binomio Sud/mafie vuol dire non aver capito nulla di come funzioni il mondo o essere stupidamente in mala fede.

Così, a proposito della frenesia alimentare da squali che sembra esplosa in tutto il nord, suggeriamo sommessamente l’opportunità di una riflessione alla luce delle sempre più numerose inchieste al nord che riguardano l’asse politica/imprenditoria/mafie e sempre più spesso si parla di “mafie” in piena interazione tra loro: dopo i disastri causati dalla pandemia Covid-19 sono già partiti e si accingono a partire dall’Europa ancora tanti, tantissimi soldi ed il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero de Raho si è più volte affrettato a lanciare un allarme: “I clan sfrutteranno l’emergenza Covid (e le sue conseguenze immediatamente future ndr) per mangiarsi l’economia. Non c’è crisi che non sia una grande opportunità per le mafie”.

Non sarà un caso che tutti, a prescindere dall’appartenenza a questa o quella delle correnti del Partito Unico del Nord, stiano sbraitando che vogliono tutto loro, affamati come squali intorno al povero naufrago? … E i poltrosauri meridionali? Dalle segreterie di corrente, zitti e guai a chi fiata a disturbar il gioco dei grandi… A proposito, come si chiama questa…?

 

(3 gennaio 2023)

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