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L’Autonomia Differenziata condurrebbe a un ulteriore svuotamento dei diritti costituzionali dei cittadini del Sud-Italia

di Massimo Mastruzzo*

L’Autonomia Differenziata è al centro di un dibattito che, tuttavia, non sembra affrontare in maniera adeguata le sue implicazioni economiche e sociali. Nessun dibattito pubblico, infatti, mette in evidenza i rischi che questa riforma potrebbe comportare per il futuro del Paese, in particolare per le regioni meridionali. I temi sollevati da esperti, come i mancati finanziamenti dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) e l’iniqua ripartizione dei fondi del PNRR, dovrebbero essere al centro di una discussione seria, che purtroppo è sistematicamente evitata dai media nazionali.

La proposta di autonomia differenziata, voluta dal ministro Calderoli e sostenuta dal governo Meloni-Salvini-Tajani, non fa che consolidare il divario già esistente tra le regioni più ricche del Nord e quelle meno sviluppate del Sud. I rischi economici e sociali per le regioni meridionali sono evidenti, e vari studi lo confermano. Le ricerche condotte dal CNR, dalla Svimez e dall’OCSE ci avvertono che l’autonomia fiscale potrebbe, sì, portare a un miglioramento per alcune regioni, ma con il pericolo di un’esacerbazione delle disuguaglianze. Le regioni più ricche potrebbero rafforzare la loro posizione, mentre quelle più povere potrebbero trovarsi a dover affrontare carenze di risorse, con un impatto devastante su servizi essenziali come sanità e istruzione.

Gli studi della Svimez parlano chiaro: l’autonomia differenziata potrebbe trasformarsi in una “secessione fiscale” che, se non accompagnata da adeguate politiche di redistribuzione e solidarietà, danneggerebbe irrimediabilmente il Sud. Le stesse previsioni OCSE confermano che una maggiore autonomia regionale rischia di rallentare la crescita complessiva del Paese, in quanto non tutte le regioni sarebbero in grado di sostenere finanziariamente politiche e infrastrutture adeguate.

Ma non si tratta solo di questioni economiche. Il rischio maggiore è che l’Italia, già oggi caratterizzata da disuguaglianze territoriali insostenibili, si avvii verso una divisione ancora più marcata. Un Paese che non riesce a garantire i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) a tutti i suoi cittadini, ma li fornisce solo ad una parte di essi, non è in grado di definirsi un “Paese Unito”. La Costituzione Italiana, che stabilisce l’uguaglianza di diritti e opportunità per tutti i cittadini, rischia di essere tradita.

“Un Paese, uno Stato, che garantisce i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) solo ad una parte dei suoi cittadini, disattendendo di fatto la sua stessa Costituzione, come può essere definito tale. Uno Stato dove la disomogeneità territoriale è talmente ampia dall’aver condizionato inequivocabilmente i criteri di ripartizione dei Recovery Fund a proprio favore, ricevendo per questa condizione la quota maggiore salvo poi, in merito alla coesione sociale, agire in controtendenza rispetto alle indicazioni di Bruxelles, che prospettive positive può immaginare rispetto alla proposta sul disegno di legge (DDL) sull’autonomia differenziata, ideato da Calderoli?”.

Il Movimento Equità Territoriale, con convinzione, ritiene che il progetto di Autonomia Differenziata sia una minaccia alla coesione sociale e alla tenuta economica delle regioni del Mezzogiorno. La proposta avanzata da Calderoli è inadeguata rispetto alle reali necessità del Paese è mette pericolosamente a rischio i diritti costituzionali, già debolmente garantiti, dei cittadini del Sud-Italia.

La disomogeneità territoriale è già così ampia da condizionare la distribuzione dei fondi europei a favore delle regioni più ricche, ma non basta: oggi si vuole legittimare una legge che rischia di rendere ancora più evidente la disparità tra Nord e Sud e condurrebbe a un ulteriore svuotamento della capacità del Sud di sostenere il proprio sviluppo.

Per queste ragioni, ci opponiamo fermamente al Disegno di Legge sull’Autonomia Differenziata. Se vogliamo davvero ridurre le disuguaglianze e promuovere la crescita delle regioni del Sud-Italia, è necessario garantire gli investimenti per tutte quelle infrastrutture carenti nelle regioni meridionali: gli investimenti in infrastrutture hanno un impatto economico diretto e documentato. Creano occupazione nel breve periodo, stimolano l’indotto e, nel lungo termine, rafforzano la competitività del Paese intero. Gli economisti parlano di “effetto moltiplicatore”: ogni euro speso in infrastrutture genera una crescita del PIL superiore al valore iniziale dell’investimento. E questo effetto è ancora più forte nei territori che partono da una situazione di carenza

Difatti dimostrare che un’autostrada o una ferrovia è più utile lì dove mancano – e non dove già abbondano – non dovrebbe essere un esercizio difficile.

Così come non lo dovrebbe essere garantire le risorse adeguate per i LEA, LEP, LEPS e assicurare che il sistema fiscale e redistributivo italiano funzioni in modo equo per tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro provenienza geografica.

 

*Direttivo nazionale MET
Movimento Equità Territoriale

 

 

 

(19 ottobre 2025)

©gaiaitalia.com 2025 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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