di Massimo Mastruzzo*
L’obiettivo sarà fermare l’Autonomia differenziata destinata ad aumentare, inevitabilmente, i divari territoriali e le già insopportabili diseguaglianze a tutte le latitudini, compromettendo le prospettive di crescita e di coesione sociale dell’Italia intera.
Pensiamo al mondo della scuola che già oggi, per vari motivi come assenza di mense, attività e tempo pieno che costa agli alunni del Sud fino a un anno in meno di scuola, non riesce ad offrire lo stesso livello formativo e infrastrutturale uguale, rischia di diventare, consolidando definitivamente con l’autonomia differenziata, una scuola di serie A e una scuola di serie B, con stipendi, programmi, offerta formativa e organici diversi in 20 regioni.
I diritti universali della persona, come l’istruzione, non possono essere regionalizzati perché rappresentano il pilastro della dignità umana, e non possono finire nelle maglie delle variabili impazzite dei partiti che, di elezioni in elezioni, governano una regione o un’altra.
Per non parlare della sanità che secondo il Gimbe porterà al collasso la sanità delle regioni del Sud.
Non a caso nel report della Fondazione GIMBE si può leggere che nel 2022 a fronte di un’aspettativa di vita alla nascita di 82,6 anni (media nazionale), si registrano notevoli differenze regionali: dagli 84,2 anni della Provincia autonoma di Trento agli 81 anni della Campania, un gap ben 3,2 anni. E in tutte le 8 Regioni del Mezzogiorno l’aspettativa di vita è inferiore alla media nazionale, spia indiretta della bassa qualità dei servizi sanitari regionali.
Nel periodo 2010-2021 tutte le Regioni del Sud ad eccezione del Molise (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia) hanno accumulato complessivamente un saldo negativo pari a € 13,2 miliardi, mentre sul podio per saldo attivo si trovano proprio le tre Regioni che hanno già richiesto le maggiori autonomie. Nel 2021 su € 4,25 miliardi di valore della mobilità sanitaria, il 93,3% della mobilità attiva si concentra in Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, mentre il 76,9% del saldo passivo grava su Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo.
Dati che portano a sospettare che la mobilità sanitaria non dispiaccia affatto alle regioni del nord, che ne beneficiano sicuramente in termini di fatturato positivo, ma a discapito del diritto alla salute che costituisce parte integrante dei diritti umani fondamentali internazionalmente riconosciuti.
Con l’entrata in vigore della legge le regioni interessate ora potranno deliberare in base ai loro statuti le richieste di trasferimento di competenze da inviare al governo. In particolare, nell’immediato, le Regioni potranno chiedere il trasferimento delle prime competenze relativamente alle 9 materie sulle 23 complessive.
Bisogna fermare questa assurda riforma che creerà ancora più disuguaglianze territoriali, mettendo in difficoltà famiglie e imprese perché creerà 20 diverse realtà con leggi e norme diverse.
*Direttivo nazionale MET
Movimento Equità Territoriale
(3 luglio 2024)
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