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Sud, la diaspora ignorata: l’Italia che si svuota nell’indifferenza della politica

di Massimo Mastruzzo

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge” — Art. 3 della Costituzione italiana. Ma a leggere i numeri dell’emigrazione dal Sud, viene da chiedersi se questa uguaglianza non sia ormai solo sulla carta.

Il Sud che scompare: una crisi nazionale mascherata da problema locale

In Calabria si vive sempre più a lungo, ma sempre più da soli. I giovani partono, le culle si svuotano, le scuole chiudono e i borghi diventano silenziosi. La regione ha oggi meno abitanti della sola città metropolitana di Milano: circa 1,8 milioni contro oltre 3,3 milioni nella capitale economica del Paese. Un dato simbolico, ma devastante, che riflette una desertificazione demografica strutturale che riguarda anche la Basilicata, il Molise, parti della Sicilia, della Sardegna e della Campania interna.

Non è solo un cambiamento demografico, ma una vera e propria diaspora, che si consuma nell’indifferenza del potere centrale. Un’emorragia che dura da oltre un secolo, ma che negli ultimi anni ha assunto le dimensioni di una crisi democratica e costituzionale.

L’emigrazione dal Sud non è un fenomeno recente. Dal secondo Ottocento ai primi del Novecento, milioni di meridionali lasciarono le loro terre per le Americhe. Dopo la Seconda guerra mondiale fu la volta delle grandi migrazioni interne verso Torino, Milano, Genova e le fabbriche del “miracolo economico”. Oggi, oltre alla manodopera per le fabbriche del nord Italia, partono gli universitari, i laureati, i professionisti. Una nuova “fuga di cervelli” alimentata non solo dalla mancanza di lavoro, ma da un Sud sempre più marginale nei diritti, nei servizi, nelle prospettive.

Le cause dell’esodo: mancanze strutturali e diseguaglianza costituzionale

Lavoro che non c’è:

  • secondo ISTAT 2024, il tasso di disoccupazione giovanile in Calabria e Sicilia supera il 40%, contro il 12% del Nord. Il lavoro, quando c’è, è spesso precario, sottopagato, irregolare.

Sanità negata:

  • le regioni meridionali spendono in media 600-700 euro pro capite in meno in sanità rispetto a quelle del Nord. Questo si traduce in carenza di strutture, liste d’attesa infinite, migrazione sanitaria verso Nord che costa ai cittadini del Sud circa 4 miliardi di euro l’anno.

Infrastrutture a due velocità:

  • in Sicilia e Calabria ci sono ancora linee ferroviarie a binario unico non elettrificate. Gli investimenti in trasporti e mobilità sono sproporzionatamente inferiori rispetto al Nord. Il treno ad alta velocità si ferma a Salerno. L’autostrada A3, simbolo dell’abbandono infrastrutturale, è un cantiere infinito da decenni.

Una Costituzione ignorata

L’art. 3 della Costituzione impone alla Repubblica di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che impediscono la piena uguaglianza tra i cittadini. Lo Stato non solo non li rimuove, ma li alimenta con politiche miopi e centraliste. Anche l’art. 5 (autonomia e decentramento), l’art. 34 (diritto allo studio) e l’art. 32 (diritto alla salute) vengono disattesi sistematicamente al Sud.

Il paradosso è che negli ultimi anni alcuni provvedimenti del governo non hanno invertito la rotta, ma l’hanno istituzionalizzata.

Il recente bonus affitto di 1.000 euro per i docenti meridionali che si trasferiscono al Nord è solo l’ultimo esempio. Una misura pensata per “aiutare” chi parte, senza interrogarsi sul perché non si possa insegnare, lavorare o vivere nel proprio territorio.

A fine 2024 il governo  all’interno della Manovra Finanziaria 2025, ha previsto un fringe benefit fino a 5.000 euro per i neoassunti che trasferiscono la residenza oltre 100 km dal luogo di lavoro, si tratta di uno dei temi centrali del Piano Casa, nato dal confronto del governo con Confindustria, studiato per favorire il trasferimento dei lavoratori, o per meglio dire un sottinteso incentivo ad emigrare, a lasciare il Sud:

il Governo anziché incrementare le opportunità di occupazione nel Mezzogiorno, contribuisce incredibilmente con un bonus, fino 5000 euro, per convincere anche i più riluttanti a fare le valigie e andare al Nord.

A completare il quadro, il progetto di autonomia differenziata, se approvato in forma attuale, rischia di cristallizzare le disuguaglianze. Le regioni ricche avranno più risorse e competenze, mentre quelle più povere resteranno ancora più indietro. È una rottura del patto nazionale, una forma di secessione mascherata.

Quando un territorio serve solo come bacino di manodopera, riserva elettorale e mercato passivo, senza ricevere gli investimenti necessari per crescere, si può parlare di colonialismo interno. È quello che accade al Sud da oltre un secolo, ma con particolare evidenza nell’Italia repubblicana.

Non è un problema del Sud, è una ferita per l’Italia intera

La questione meridionale non riguarda solo i meridionali. Riguarda la tenuta democratica del Paese, il rispetto della Costituzione, la coesione sociale. Un’Italia che abbandona il Sud è un’Italia che si indebolisce, economicamente e moralmente.

Non bastano bonus e pacche sulle spalle. Servono:

  • un grande piano di investimenti strutturali pubblici per il Sud;
  • incentivi al rientro dei giovani emigrati (non solo laureati);
  • potenziamento reale della sanità, dell’istruzione, della mobilità;
  • decentramento amministrativo con poteri veri agli enti locali, ma con risorse certe e uguali;
  • una politica nazionale che non consideri il Sud un “peso”, ma una parte strategica del Paese;
  • cambiare rotta, o accettare la morte lenta.

Continuare a ignorare l’emigrazione meridionale significa accettare che una parte d’Italia si spenga lentamente. Ma non si può essere uniti a metà. Il futuro dell’Italia passa anche e soprattutto da una rinascita vera del Sud, non a parole, ma nei fatti.

 

*Direttivo nazionale MET
Movimento Equità Territoriale

 

 

 

(18 settembre 2025)

©gaiaitalia.com 2025 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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