di P.M.M.
La povertà in Sardegna non è più una questione di emergenza passeggera, ma un fenomeno strutturale che rischia di segnare l’isola fino al 2035. È quanto emerge con forza dai rapporti Caritas e dalle analisi di istituti economici e demografici: un quadro che non lascia spazio a interpretazioni ottimistiche, ma che chiede con urgenza un cambio di passo politico e culturale.
Lo scrive una nota stampa di +Europa Sassari Città Metropolitana, a firma del coordinatore Manuel Pirino.
Secondo i dati diffusi nel 2023 – continua la nota -, 118.000 famiglie sarde vivono in condizione di povertà relativa, pari a quasi 270.000 persone. Significa che il 15,9% dei nuclei familiari non riesce a sostenere un livello di vita considerato dignitoso, una percentuale ben superiore alla media nazionale (9,7%). L’anno precedente i nuclei in difficoltà erano circa 109.000: in dodici mesi si è registrato un balzo di 9.000 famiglie in più.
Le richieste di aiuto raccolte dai centri d’ascolto Caritas — mense, pacchi alimentari, contributi per affitti e bollette — hanno superato nel 2023 quota 180.000. Solo a Cagliari, il centro principale, sono state oltre 160.000 le domande di sostegno, un record mai toccato prima. Dietro questi numeri ci sono storie di pensionati che non arrivano a fine mese, madri sole che chiedono pannolini per i figli, giovani senza contratto stabile che devono scegliere tra l’affitto e la spesa alimentare.
Le cause profonde: demografia, lavoro, caro-vita
Per comprendere la radice di questo disagio occorre guardare oltre la cronaca e leggere le dinamiche che da anni attraversano l’isola. Tre sono i nodi principali.
Il primo è la crisi demografica. La Sardegna è una delle regioni italiane con il tasso di natalità più basso e con un progressivo invecchiamento della popolazione. Le proiezioni indicano che entro il 2035 l’isola perderà decine di migliaia di abitanti, soprattutto giovani, aggravando la sproporzione tra popolazione attiva e anziana. Un territorio che si spopola non solo si impoverisce di capitale umano, ma perde anche capacità fiscale e domanda interna.
Il secondo nodo è la fragilità del lavoro. Non è solo la disoccupazione a pesare — già più alta della media nazionale — ma anche il cosiddetto “lavoro povero”: contratti a termine, stagionalità estrema, salari insufficienti. Il risultato è che anche chi lavora spesso rimane sotto la soglia di dignità economica.
Il terzo elemento è l’aumento del costo della vita. Bollette, spesa alimentare, trasporti, abitazioni: in Sardegna, a causa dell’insularità e di mercati meno concorrenziali, i prezzi tendono a crescere più rapidamente e a gravare di più sui bilanci familiari.
Questi tre fattori insieme alimentano un ciclo perverso: meno popolazione attiva significa meno produzione e meno reddito; meno reddito stabile significa più povertà; più povertà significa minore capacità di consumare, investire, costruire futuro.
Tre ipotesi al 2035
Guardare al 2035 non è un esercizio di futurologia, ma un atto di responsabilità. Senza una visione a lungo termine, l’isola rischia di arrivare al prossimo decennio ancora più fragile.
Scenario 1: l’inazione.
Se la Regione e lo Stato continueranno a limitarsi a misure tampone, la povertà resterà su livelli altissimi o peggiorerà. L’invecchiamento e l’emigrazione dei giovani ridurranno drasticamente la base produttiva, e l’assistenza sociale diventerà sempre più costosa e inefficace. In questo scenario, la Sardegna sarebbe un territorio dove la povertà diventa strutturale.
Scenario 2: la mitigazione.
Con politiche mirate ma limitate — potenziamento di alcune misure di sostegno al reddito, qualche intervento sui servizi territoriali — è possibile contenere l’aumento della povertà. Si eviteranno i picchi emergenziali, ma non si invertirà la tendenza demografica ed economica. È lo scenario più realistico se si continua a ragionare in termini di legislature e non di decenni.
Scenario 3: la rigenerazione.
Con una strategia ambiziosa e integrata — investimenti pubblici e privati, lavoro dignitoso, politiche abitative, servizi per l’infanzia e per gli anziani, sostegno alle aree interne — l’isola può invertire la rotta. Significa rafforzare la base occupazionale, attrarre e trattenere giovani, ridurre la marginalità. È lo scenario più difficile, ma anche l’unico che permetta di pensare alla Sardegna come a un luogo di vita piena e non di mera sopravvivenza.
Cosa serve subito: cinque priorità
- Lavoro stabile e dignitoso. Incentivi alle imprese che assumono con contratti a lungo termine, politiche per l’occupazione femminile e giovanile, formazione collegata ai settori produttivi locali.
- Rete di servizi sociali e sanitari. Non si combatte la povertà senza una sanità accessibile e una rete di assistenza di prossimità: ticket ridotti, trasporti agevolati, presidi territoriali.
- Politiche abitative ed energia. Affitti calmierati, bonus mirati per le bollette, sostegno alle famiglie a rischio sfratto: la casa è il primo argine contro la povertà estrema.
- Famiglie e minori al centro. Asili, doposcuola, supporti educativi: investire sui bambini significa rompere la trasmissione intergenerazionale della povertà.
- Contrasto allo spopolamento. Rigenerare i paesi delle aree interne con infrastrutture digitali, incentivi al telelavoro, servizi minimi garantiti. Senza territori vivi non c’è futuro sociale né economico.
Un dovere politico e morale
La povertà non è una condizione individuale, ma un problema collettivo che mina la coesione sociale. Non si può delegare solo al volontariato o al Terzo settore la gestione dell’emergenza: servono politiche pubbliche forti, continue e coordinate.
Il tempo delle mezze misure è finito. La Sardegna, nel 2035, può essere un’isola svuotata, invecchiata e impoverita, oppure un territorio rigenerato, che offre opportunità e dignità ai suoi abitanti. La differenza la faranno le scelte prese oggi, non domani.
La povertà, ci ricordano i rapporti Caritas, non è un numero: è un volto, una famiglia, un bambino che cresce senza futuro. Ignorare questo significa non solo tradire i più fragili, ma condannare l’intera comunità a un declino irreversibile.
(28 settembre 2025)
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