di Massimo Mastruzzo (*Direttivo nazionale MET, Movimento Equità Territoriale)
È inutile negarlo: ogni grande opera ha un impatto ambientale. Vale per il Ponte sullo Stretto di Messina, così come per una nuova autostrada, una linea ferroviaria ad alta capacità o perfino per un ospedale o una scuola. Anche quelle infrastrutture spesso ritenute “più urgenti” rispetto al ponte consumano suolo, modificano paesaggi ed ecosistemi.
Il punto centrale, quindi, non è se un’opera abbia impatto — tutte ne hanno — ma se i benefici superino i costi, e soprattutto se esistono strategie efficaci per mitigarne gli effetti.
Nel caso del Ponte sullo Stretto, si tratta di un’opera strategica per lo sviluppo del Sud Italia: un’infrastruttura attesa da decenni, capace di migliorare mobilità, connessioni logistiche e prospettive economiche dell’intero Mezzogiorno.
Ma oggi non si può più pensare a una grande opera senza parlare anche di compensazioni ambientali. Si tratta di azioni concrete, normate per legge, che accompagnano ogni progetto sottoposto a Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). Parliamo di: creazione di nuove aree verdi; bonifica di siti degradati; corridoi ecologici; tutela della biodiversità; riforestazione e monitoraggio costante. E via parlando.
Questo approccio non è teorico. In Italia e in Europa esistono numerosi precedenti. Il MOSE di Venezia, ad esempio, è stato realizzato con cemento nel cuore della laguna, ma affiancato da un imponente piano ambientale che ha riqualificato oltre 1.000 ettari di habitat naturali.
In Danimarca, il ponte sullo Storebælt ha dimostrato come un’infrastruttura ben progettata possa coesistere con l’equilibrio marino e costiero. Anche progetti minori, come il Canale Lorno in Emilia-Romagna, hanno dato vita a nuovi ecosistemi grazie alla riforestazione fluviale.
Il piano di compensazione per il Ponte sullo Stretto
Il progetto del Ponte prevede numerosi interventi concreti a tutela del territorio, della fauna e degli habitat marini con numerose aree protette e parchi Coinolti. Tra questi i Monti Peloritani, la Dorsale Curcuraci, Antenna Mare e l’area marina dello Stretto (sponda siciliana); quindi Costa Viola (sponda calabrese), il Parco Nazionale della Sila (riforestazione, tutela del lupo appenninico, lontra, rapaci) e la Laguna di Capo Peloro con le nidificazioni della tartaruga Caretta caretta e la sosta di migratori.
Habitat da ripristinare
Riassumibili in un breve elenco:
- superfici degradate nei pressi dei cantieri (Ganzirri, Cannitello), da riconvertire in zone umide;
- foresta sottomarina di Laminaria ochroleuca: specie protetta, oggetto di interventi conservativi;
- Gorgonie bianche e rosse (Paramuricea clavata): misure per protezione e paesaggio marino.
Specie simbolo da valorizzare
Tra le numerose si ricordano:
- Falchi migratori (lodolaio, grillaio, albanella pallida, cicogne): potenziamento delle aree di sosta;
- Caretta caretta: salvaguardia dei siti di nidificazione;
- Cetacei: monitoraggio visivo e acustico durante tutte le fasi dei lavori.
Misure operative
Tra le misure operative troveremmo Corridoi ecologici, riforestazioni, zone umide costiere; centinaia di stazioni di monitoraggio su aria, acqua, suolo, rumore, idrofonia; campagne stagionali di rilevamento faunistico e controllo dell’impatto.
Una sfida di sostenibilità, non un salto nel buio
Dunque una sfida di sostenibilità, piuttosto che un salto nel buio. Un’opera, il Ponte sullo Stretto, che non definiremmo un gesto d’arroganza ma un’opera che può diventare un modello di infrastruttura responsabile, capace di bilanciare sviluppo e tutela ambientale.
Il Movimento Equità Territoriale chiede che si affronti il tema in modo realistico, trasparente e informato. Perché oggi la vera domanda non è se costruire, ma come farlo bene.
(2 luglio 2025)
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