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La Sovranità dell’Italia. Un progetto mai NATO

di Mila Mercadante #milapersiste twitter@milapersiste #Politica

 

 

Premettendo che non esiste una vera e propria distinzione tra insediamenti militari NATO e Usa presenti in Italia, le basi militari dichiarate dovrebbero essere tra 114 e 120. Uso il condizionale perché vi sono basi italiane concesse in uso alla NATO piuttosto che agli Usa, basi “incerte” derivanti da accordi segreti con l’Italia, oltre a una ventina di basi segrete delle quali non si conosce né la posizione né l’attività svolta.

L’IMPATTO ECONOMICO

Attenendosi agli accordi bilaterali e alle regole della procedura denominata burden sharing che concerne la condivisione degli oneri, tutti i militari americani assegnati alle basi in territorio italiano nonché i loro familiari e i comandi militari stessi (che occupano una superficie di circa 2 milioni di metri quadrati) hanno diritto a una serie di privilegi fiscali che naturalmente paghiamo noi. Questi privilegi consistono nell’esenzione dal pagamento di: IVA su tutti i servizi, su tutti gli acquisti e sui contratti, tasse di imbarco e sbarco delle merci che viaggiano per mare e per cielo, accise su carburanti ed elettricità, tasse di circolazione degli autoveicoli, imposta di registro e imposta di bollo, dazi doganali, raccolta e smaltimento di rifiuti urbani (solo per Vicenza e Napoli).

Le notizie che ho potuto reperire rispetto ai costi/benefici economici della presenza NATO sono pochissime e datate: gli stessi governi statutinense e italiano non diffondono cifre. Per dare un’idea, l’ultimo resoconto del Congresso statunitense pervenuto prendeva in analisi l’anno 1999 e fu reso noto nel 2004; secondo quel rapporto le spese sostenute dagli alleati italiani ammontavano a 530 milioni di dollari. In un altro documento NATO del 2001 fu reso noto che grazie ai contributi dell’Italia la sola base di Aviano risparmiò in un anno la bellezza di 190 milioni di dollari. Esiste anche un rapporto del sindaco dell’isola della Maddalena sui contributi versati per la cooperazione, che in 25 anni avevano provocato un disavanzo pari a 45 miliardi di lire; spalmata durante un quarto di secolo la cifra non sembra esagerata ma bisogna tener conto del fatto che l’isola in quegli anni ospitava poche centinaia di militari. In città come Vicenza e Napoli, dove la presenza di militari NATO è sempre stata altissima, la situazione era ed è più pesante che altrove, anche grazie agli accordi (shell agreements) stipulati negli anni 50/60 e riconfermati in seguito, i quali prevedono che ritiro e smaltimento dei rifiuti urbani prodotti dalle basi americane debbano essere interamente a carico dell’Italia.

Se una base militare americana o una qualunque installazione venissero dismesse, i contributi dell’Italia agli Usa non cesserebbero. Gli accordi bilaterali Returned Property-Residual Value prevedono in effetti un indennizzo ai nostri benefattori e il risarcimento per le spese di investimento che essi hanno sostenuto nel nostro paese, lasciandoci eredi di territori inquinati solo un pochino (che sarà mai), qualitativamente migliorati, con una valutazione economica accresciuta. Tu guarda che fortuna.

LA COSTITUZIONE

Alcune inchieste giudiziarie svolte fino agli anni ’90 rivelarono, oltre alla presenza di basi clandestine, le azioni di gruppi speciali eversivi (Ossi) nonché l’esistenza di depositi di armi (Nasco). Di talune operazioni segrete il governo italiano non era informato poiché si trattava di decisioni in contrasto con il rispetto della sovranità nazionale. Su alcuni episodi drammatici che hanno caratterizzato la storia italiana è stato fatto un dressage istituzionale che è indicativo della nostra triste e alacre sudditanza.

Le basi militari sono luoghi inviolabili, ragion per cui le informazioni che le riguardano sono spesso imprecise. Vi sono forti sospetti sulla detenzione di mine anti-uomo nelle basi e notizie certe sulla presenza di testate nucleari ad Aviano e a Ghedi ; le testate presenti in Italia (e nel resto d’Europa) hanno tre diversi livelli di potenza e comprendono anche le B 61-3, 107 kiloton, dieci volte più potenti dell’atomica sganciata su Hiroshima.Tutto ciò avviene in violazione delle leggi italiane che prevedono la distruzione delle mine anti-uomo e vietano l’uso di energia atomica perfino nel settore civile.

L’articolo 80 della nostra Costituzione recita “Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi”. L’articolo 87 prevede la ratifica da parte del Presidente della Repubblica dei trattati politici internazionali. Quanti e quali accordi internazionali sono stati sottoposti fino a oggi a ratifica parlamentare o del Presidente della Repubblica? Si contano sulle dita di una mano, per non parlare degli insediamenti militari americani mai fatti oggetto di uno straccio di verifica. Inutile ricordare che anche gli articoli 11 e 78 della Costituzione sono costantemente violati, sia perché L’Italia si è adeguata alle decisioni NATO partecipando a interventi militari offensivi all’estero (che gli accordi bilaterali non prevedono), sia per essere coinvolta in 34 missioni all’estero con oltre 6000 uomini. Abbiamo aderito agli interessi nord-atlantici come se fossero i nostri, ma non sono i nostri.

LA GIUSTIZIA 

I rapporti di convivenza con i civili nelle aree di maggior presenza di militari americani non sempre sono improntati al rispetto reciproco, anche perché i militari sanno benissimo di essere al di sopra della nostra legge e delle nostre ragioni. Il Veneto è teatro di numerosi reati commessi dai militari (ce ne sono 12mila), dagli stupri ai tentativi di stupro, dalle risse alle aggressioni, fino agli investimenti di pedoni aggravati dall’omissione di soccorso. In un articolo del 2014 su Il Fatto Quotidiano si leggeva che su 113 crimini commessi dai militari americani in un anno, ben 93 volte la giurisdizione italiana non è intervenuta. Le cose non cambiano neanche quando i militari colpevoli di reati minori vengono giudicati in Italia. Un esempio: il caso di Geoffrey Morehead – condannato per aver sfregiato una ragazza a 6 mesi di carcere e a un risarcimento di 5200 euro – si è risolto con sospensione della pena e indennizzo alla ragazza a carico dell’Italia. Pare che gli indennizzi in molti casi vengano pagati da noi e non dagli Usa.

La convenzione di Londra del 1951 stabilisce tra le altre cose che i militari debbano essere giudicati nel paese di provenienza, è vero, ma non stabilisce quali siano i criteri in base ai quali il governo debba comportarsi, eppure l’atteggiamento di fronte ai reati compiuti dai militari stranieri è sempre benevolo, e lo è perché L’Italia è un paese sottomesso. Il caso del Cermis che tutti ricordiamo è vergognosamente emblematico, ma ce ne sono molti altri. L’ultimo riguarda la costruzione del Muos a Niscemi, in provincia di Caltanissetta. Vennero indagati per gravi reati ambientali otto responsabili, tra i quali un americano – Mark Gelsinger – che non era un militare bensì un normale cittadino. Malgrado questo, egli chiese e ottenne di essere processato negli States. Inutile dire che Gelsinger e gli altri responsabili italiani – costruzione dell’impianto senza autorizzazioni in un’area di inedificabilità assoluta perché riserva naturale protetta – sono stati tutti assolti. Nel 2018 anche la richiesta di confisca della struttura è stata rigettata. I no-Muos furono accusati a suo tempo dal governatore antimafia Crocetta di essere degli infiltrati della mafia. Crocetta, prima di fingere di aver cambiato idea, aveva dimenticato che Pio La Torre fu assassinato dalla mafia per essersi opposto alla base NATO di Comiso. Crocetta non è un caso raro, in Italia gli atlantically correct sono la maggioranza.

I RIFIUTI

In Italia il problema dei rifiuti è stato sempre affrontato e discusso attraverso la cortina di fumo delle omissioni e delle menzogne. Essendo il giornalismo d’inchiesta merce rarissima, ci siamo da tempo accontentati del giornalismo inteso come mera operazione di copertura della realtà attraverso uno storytelling imposto. Spiegare fenomeni che hanno radici sovranazionali esclusivamente in termini di dinamiche interne fa sempre presa perché la gente ci crede: è sufficiente pronunciare la parola magica, “mafia”, una vera manna. Come se davvero la mafia non potesse essere stritolata – volendo – dagli stessi poteri che se ne servono. Dello smaltimento dei rifiuti tossici e speciali provenienti dalle basi NATO non si parla, eppure si tratta di un problema serissimo gestito proprio attraverso le mafie. Lo smaltimento dei rifiuti è già di per sé appannaggio di un mondo d’affari e di segreti, in più bisogna aggiungere i segreti che attengono al settore militare. Dove finiscono i rifiuti tossici delle basi militari americane disseminate da nord a sud? Di che genere di rifiuti si tratta? Alcuni porti italiani forniscono  supporto logistico alle navi militari dell’alleato atlantico e anche ai loro sommergibili nucleari. Le scorie radioattive di questi sommergibili non hanno mai inquinato in tanti anni i nostri mari?

Un importantissimo perno del sistema militare NATO è la Sardegna, oppressa dalla servitù militare nell’indifferenza generale. Le intimidazioni rappresentano la sola risposta a qualunque richiesta di difesa ambientale e della salute da parte dei cittadini. Oltre all’inevitabile inquinamento da uranio impoverito, torio 234, idrazina, particelle nanometriche di metalli pesanti (piombo, cromo, bismuto, cobalto, antimonio), in terra sarda i cittadini patiscono anche le gravi conseguenze dell’esposizione a microonde e campi magnetici ad alta frequenza. Leggendo questo documento ci si può rendere conto degli immani disastri provocati dalle basi americane nell’isola.

Un esempio di quanto sia grave il problema dello smaltimento dei rifiuti tossici militari viene da lontano: il Pcb (tonnellate di Pcb) è stato rinvenuto recentemente in Groenlandia esattamente dove c’era la base NATO di Camp Century, dismessa nel 1967. Tutti i rifiuti prodotti dalla base furono sepolti sotto il ghiaccio e lì sono rimasti per 50 anni, finché i cambiamenti climatici hanno fatto sì che il ghiaccio si sciogliesse e che venisse fuori una montagna di agenti tossici che adesso minaccia di raggiungere l’oceano.

UN CASO ANOMALO

In Campania si è verificato l’unico caso in cui la segretezza da parte dei militari Usa è stata volontariamente violata. Dal 2009 al 2011 la Marina americana effettuò controlli a tappeto sull’acqua potabile – casa per casa – in una vasta area della regione, utilizzando un metodo nuovo e costosissimo (35 milioni di dollari) soprannominato “Metodo Napoli”. Quel territorio risulta essere il primo e l’ultimo caso di indagini sulla sicurezza ambientale svolte in maniera tanto approfondita quanto sofisticata. Quella non è la sola zona del nostro paese fortemente inquinata, ma tant’è. La Marina Militare americana stranamente rese noti tutti i risultati e divulgò anche le straordinarie precauzioni adottate: invitò i suoi militari a non affittare appartamenti o villette in almeno due comuni della provincia, tutti i militari furono invitati a utilizzare esclusivamente acqua in bottiglia, non solo per cucinare o bere ma anche per tutte le pratiche di igiene personale, nonché per dissetare gli animali domestici. La ragione: nei campioni analizzati furono rilevate – tra le altre sostanze – tracce importanti di inquinanti pericolosissimi, tra i quali Pcb (i policlorobifenili, rinvenuti anche in Groenlandia) in quantità rilevante e alte concentrazioni di uranio, trovato nell’88% delle abitazioni civili dei comuni presi in esame. Scoppiò il caso dell’acqua avvelenata in Campania; L’Espresso in un’inchiesta che suscitò molto scalpore pubblicò anche i risultati completi dell’indagine prodotta dalla Marina militare americana. Due anni dopo, nel 2013, l’ammiraglio NATO Philip Davidson dichiarò a mezzo stampa che l’acqua di Napoli era potabile e sicura. L’allarme era stato uno scherzo? Il sindaco De Magistris, dopo aver divulgato le analisi effettuate dall’azienda che gestisce l’acqua nel Comune di Napoli (ABC, Acqua Bene Comune), chiese al settimanale L’Espresso un risarcimento di un miliardo di euro per danni d’immagine.

Perché i militari americani hanno fornito spiegazioni sulla decisione di non abitare in alcuni comuni della regione? Di regola agiscono liberamente e nell’assoluta riservatezza senza doversi giustificare con nessuno, come ogni occupante fa nel paese colonizzato, come accade sempre quando l’oppressione è istituzionalizzata e anche acclamata e benedetta. Perché nel caso campano i militari hanno interpellato i sindaci dei comuni inquinati e la Protezione Civile? Uno di quei comuni era Casal Di Principe, culla della camorra. E perché hanno consentito che si aprisse un acceso dibattito pubblico sulla faccenda, visto che i principali inquinatori sono sempre stati proprio loro? Per atteggiarsi da correi a vittime, fingendo di non avere alcun ruolo nel traffico illegale dei rifiuti tossici e di scorie militari? Per un impulso di generosità verso la popolazione autoctona? Questa fa ridere. Per dimostrare al governo centrale di poterlo scavalcare impunemente senza consultarlo, preferendo rapportarsi alle autorità locali seminando il panico? Se quest’ultima ipotesi fosse quella giusta, trattando il governo centrale e lo Stato sovrano come se non contasse nulla, gli Usa avrebbero effettuato uno stress-test per verificare le reazioni. La balcanizzazione a cui l’Italia sta andando incontro con la creazione di autonomie regionali differenziate e con la conseguente perdita di un potere centralizzato non piace solo ai leghisti sin dai tempi di Miglio e non piace solo a Beppe Grillo che ne parlava già nel 2014, piace parecchio anche agli americani. In effetti la divisione dell’Italia in tanti piccoli territori indipendenti era proprio il progetto degli Usa dopo l’armistizio del 1943, definito da Salvatore Satta “morte della Patria”, ovvero la morte “della costruzione storico-ideologica di patria come operante matrice di valori collettivi”. Il nostro paese cominciò allora a perdere la coscienza del proprio valore storico, culturale e geopolitico. Il progetto di divisione, fallito nel ’43, rimane ancora una priorità. Parola di Edward Luttwak.

 




 

(10 febbraio 2019)

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