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Afghanistan, la Guerra dell’oppio #milapersiste

di Mila Mercadante #Afghanistan twitter@gaiaitaliacom #Milapersiste

 

La guerra americana all’Afghanistan è nota col nome di Enduring Freedom ed è iniziata il 7 gennaio 2001, ufficialmente per rispondere all’attentato dell’11 settembre. In Afghanistan la chiamano in un altro modo: giang-i-tariàk, che vuol dire guerra dell’oppio. L’occupazione del paese non è ancora cessata, così come non sono mai cessati gli attentati terroristici, l’uso indiscriminato di mine anti-uomo, gli attacchi coi droni e quant’altro, tutto quanto è necessario per mantenere una perenne instabilità. Non si sa quante centinaia di migliaia di afghani abbiano perso la vita in quasi 20 anni mentre si sa che gli USA hanno speso più di 1 trilione di dollari, cifra approssimata per difetto perché manca la registrazione di alcune voci di spesa. Un trilione di dollari è 40 volte il Pil dell’Afghanistan, tanto per intendersi. Malgrado le tante vite umane perdute, il dispendio di uomini, di tempo, di denaro in un paese che è stato completamente distrutto, nessun risultato positivo è stato mai raggiunto dagli americani: lo scopo di un’occupazione così lunga non è il raggiungimento di obiettivi positivi ma è lo stesso che nel ‘700 mosse la Gran Bretagna in India, quando l’East India Company conquistò il monopolio totale della produzione di oppio nel Bengala.

Anche quando una guerra non si vince, anche quando l’imbarazzo di fronte alla comunità internazionale non si può nascondere, c’è sempre da guadagnare. Agli USA la droga afghana solo in termini economici garantisce un ritorno di circa 100 miliardi di dollari ogni anno. Anche Isis ci guadagna bene: 1 miliardo di dollari. Se non ci fosse stato il business della droga afghana che cosa sarebbe accaduto negli USA dopo la crisi del 2008? Nelle grandi banche in quel periodo circolavano solo narcodollari. L’accaparramento esclusivo di risorse altrui, che si tratti di petrolio o di altro, è sempre stato uno degli obiettivi degli Stati Uniti. Il sistema è sempre lo stesso: con una scusa si invade un paese, si devasta completamente, si mette un fantoccio al governo e il gioco è fatto.

L’Afghanistan grazie agli occupanti è diventato il primo produttore mondiale di oppio e di hashish, dal 2008 produce alacremente anche droghe sintetiche – le metanfetamine – che non sono derivati dell’oppio, ragion per cui le sostanze necessarie alla preparazione entrano nel paese illegalmente. In tutto il mondo attualmente i consumatori di metanfetamine sono 26 milioni. Sin dai tempi dell’invasione russa in Afghanistan la guerra segreta della CIA si servì della gestione del traffico di droga per cacciare dall’area i russi: come ha raccontato l’ex diplomatico canadese Peter Dale Scott – docente universitario alla Berkeley – i mujaheddin venivano supportati nelle operazioni di contrasto ai sovietici da squadre di legionari e profusione di armi (3miliardi di dollari di spesa). Ogni volta che i mujaheddin s’impossessavano di un territorio costringevano gli abitanti a coltivare oppio. In quel periodo (1979/91) la produzione crebbe da 100 tonnellate a 2000 l’anno. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica gli assetti in Afghanistan cambiarono, i Talebani iniziarono una lotta feroce all’oppio, di conseguenza la produzione di droga ebbe un calo e si attestò nuovamente intorno alle 180 tonnellate all’anno. Durò poco, perché già nel 2002 – presenti da un anno sul territorio gli USA, la NATO e la CIA – la produzione schizzò a 3000 tonnellate, nel 2007 arrivò oltre le 8000 e oggi è assestata sulle 9000 tonnellate annue: l’offerta supera di gran lunga la domanda eppure il valore sul mercato non cala. USA, NATO E CIA stanno all’oppio come le api stanno al miele. Nella faccenda sono coinvolti gli inglesi e siamo coinvolti anche noi, che sosteniamo tutte le scelte degli alleati senza se e senza ma, col risultato finale di dover registrare i dati che la DCSA (Direzione Centrale Servizi Antidroga) fornisce ogni mese nel nostro paese: una crescita esponenziale e continua del mercato della droga. Dopo la Gran Bretagna il nostro paese è il secondo mercato europeo per la diffusione della droga, che viene raffinata e trasformata in morfina ed eroina da bande di criminali i cui membri sono in maggioranza jihadisti, nascosti sulle montagne dell’Hindu Kush. In Italia un chilo di eroina costa 80mila euro, i contadini afghani percepiscono lo 0,4% del suo valore.

Anche dal punto di vista geopolitico tenere in mano produzione e traffico di droghe ha avuto i suoi vantaggi: il giornalista freelance nonché analista geopolitico Martin Berger spiega “I più grandi mercati dell’eroina afghana comprendono Russia, Cina ed altri avversari strategici di Washington. Non dovrebbe pertanto stupire che il Pentagono mostri poco o nessun interesse a portare a compimento i propri obbiettivi dichiarati in Afghanistan. I generali americani sono convinti che le droghe afghane svolgano un ruolo estremamente importante nel precipitare le cifre demografiche di Stati descritti come potenziali minacce per gli Stati Uniti, poiché la droga innesca più morti di qualsiasi altro conflitto armato locale degli ultimi decenni”. In effetti i mercati russo e cinese sono stati letteralmente invasi dalle droghe ma la tesi di Berger è almeno in parte discutibile: piuttosto la droga serve a sfoltire l’umanità dovunque, non solo nei paesi considerati nemici. Negli stessi Stati Uniti i consumatori di eroina sono molto aumentati dal 2001. Se fino al 2000 erano poco meno di 180mila, oggi sono quasi  5 milioni, di cui la metà è costituita da consumatori abituali, cronici. Da circa 1800 morti di eroina nel 2001, negli States si è arrivati a oltre 10400 nel 2014.  E’ vero che la Federazione Russa è la destinazione finale di tutta la droga raffinata in Afghanistan e in Pakistan, è vero che lì la tossicodipendenza è diventata una piaga sociale e che il 90% degli eroinomani (circa 4 milioni) ha l’epatite C e un terzo ha l’HIV, è vero che in Cina vi sono 14 milioni di tossicodipendenti ma l’aumento costante dell’uso di metanfetamine tra i cinesi non è attribuibile all’importazione dall’Afghanistan bensì al gran numero di laboratori clandestini presenti nella Repubblica Popolare cinese.

Berger conferma l’interesse degli occupanti per il business dell’oppio:Secondo esperti afghani, le province di Kandahar, Helmand e Urozgan hanno giacimenti di oppio situati in aree controllate dai militari britannici e americani, che non interferiscono in alcun modo con la coltivazione e la raccolta delle colture di papavero. I contadini locali hanno confidato loro che gli elicotteri militari e gli aerei atterrano nei loro villaggi tutto il giorno per caricare i raccolti e per volare verso direzioni sconosciute. Il compito di trasportare grandi quantità di droga è al di là della capacità di qualsiasi contrabbandiere tipico, quindi è logico presumere che gli aerei mercantili stranieri che attraversano regolarmente il confine afghano senza alcuna ispezione o supervisione da parte delle autorità locali vengano utilizzati per il traffico di droga”.

Adesso le cose potrebbero cambiare. Trump sta cercando di abbandonare l’Afghanistan: le trattative per la pace e la conclusione dell’occupazione sono in corso da mesi, anche se il Pentagono non è d’accordo e ostacola il piano di disimpegno in campo internazionale. Se Trump lascia l’Afghanistan rimane la Cina, che già da tempo si è insediata nell’area, ricca di litio e petrolio. La Cina si muove secondo un metodo diametralmente opposto a quello abitualmente adottato dagli Stati Uniti: nessuna ingerenza nelle problematiche interne bensì cortesie e investimenti per favorire lo sviluppo. In questo momento il maggior investitore in Afghanistan è lei, che ha surclassato gli USA. L’Afghanistan ha bisogno di tutto, deve ricominciare da zero, la Cina offre prestiti e possibilità di fare affari. Per i cinesi l’idea di aprire un passaggio alla Via della Seta verso il Medio Oriente rappresenta un obiettivo importante, che si potrebbe realizzare attraverso la stabilizzazione dell’area, creando la pace tra governo e talebani. Per farlo non vi è nessun mezzo più efficace degli affari, anche se un avamposto militare può far comodo in un territorio che pullula di estremisti. Secondo un giornalista del Washington Post la base militare c’è già e si trova al confine col Tajikistan. Nel futuro dell’Afghanistan c’è forse il ritorno alla normalità?

 





 

(23 maggio 2019)

©gaiaitalia.com 2019 – diritti riservati, riproduzione vietata

 


 

 

 





 

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