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L’Italia è il paese dove tutti si indignano per tutto tranne che per le cose serie. Questo sì che è blasfemo!

di Paolo M. Minciotti, #cultura

Ceci n’est pas une blasfème ovvero “Questo non è blasfemo!” non è solo un titolo, è un chiarimento necessario e d’obbligo. A farlo è il Festival delle Arti Censurate che si tiene al Museo Pan – Palazzo delle arti di Napoli dal 17 al 30 novembre, giorno in cui si celebra la giornata della blasfemia.

Blasfemia intesa come atto di protesta a chi vuole mettere a tacere il dissenso in un paese che si dice laico e che nella pratica dovrebbe opporsi a qualsiasi connivenza tra potere politico e autorità spirituali – cosa che ahimè non accade (come non dimenticare il Ddl Zan e la richiesta della Chiesa di rivedere la legge perché non piaceva a vescovi e cardinali, questa per citare un solo episodio, tra i tanti).

A chi rispondesse che il Festival delle Arti Censurate è gratuito e di cattivo gusto, vorremmo rispondere con l’invito a interpretare le opere dissacranti e iconoclaste che stanno riscuotendo enorme successo al Pan in maniera differente da ciò che potrebbero sembrare, andando oltre la cosiddetta trasgressione della bestemmia e osservandone la carica dirompente e di rottura con un sistema che vuole necessariamente che determinate cose siano intoccabili (non è esagerato paragonarlo alla dittatura, culturale, se volete, ma dittatura) che continua a profanare i nostri diritti mettendoci a tacere, propinandoci ad esempio una politica troppe volte amorale, disservizi scandalosi o una televisione aggressiva, volgare e “sacrilega” che è una continua bestemmia, tra grandi fratelli meschini e circhi di parassiti definiti vip che di prestigioso hanno ben poco.

L’ultima attacco a questa impresa coraggiosa e lodevole dell’ex papessa pastafariana Emanuela Marmo sono stati quei manifesti “offensivi coi suoi porcodio e diocane” appesi per le strade di Napoli, la città dove vige la strana convivenza tra anarchia e cattolicesimo sfrenato. Emanuela Marmo – così come il Comune – si è difesa dichiarandosi estranea all’affissione dei manifesti nelle vie principale della città partenopea. Specificando che sono un atto di subvertising, un progetto autonomo con cui gli artisti testimoniano la presenza in città e l’adesione alla causa di Emanuela Marmo.

Di quale causa parliamo? Della campagna nazionale associata a EndBlasphemyLaws per l’abolizione una volta per tutte delle leggi contro la blasfemia, che censurano la libertà di espressione degli artisti asservendoli a un sistema di finte ribellioni – ben contenute e innocue – diretta a una messa in discussione della cultura imperante che sia vera e definitiva.

In Italia comunque la bestemmia non è più reato dal 1999 è prevede solo sanzioni amministrative. E anche così non è poco. Il subvertising tende ad appropriarsi di quegli spazi della propaganda pubblicitaria che ci inducono al consumo e lo fa attraverso un’arte che vuole e deve scandalizzare, scioccare e risvegliare le coscienze sopite dall’ignoranza di molte persone. Un atto rivoluzionario in un paese in cui perfino la rivoluzione è diventata una buffonata – in riferimento ai No Vax e alla loro crociata contro il male identificato in Mario Draghi, per intenderci – che suscita ilarità e più di uno sbadiglio.

L’Arte dunque a Napoli dice realmente la sua, uscendo dai salotti bene dei parrucconi per sporcarsi, finalmente, le mani.

 

(23 settembre 2021)

©gaiaitalia.com 2021 – diritti riservati, riproduzione vietata

 




 

 

 

 

 

 

 

 



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