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Coscienza ed Etica tra Uomo, Ambiente ed Algoritmo

di Vanni Sgaravatti #gaiambiente twitter@gaiaitaliacom #Ambiente

 

  1. La coscienza umana tra normalità e eccezionalità

Comincerei parlando della base biologica della coscienza. Non è una partenza di poco conto. Anche perché è un tema che può dividere le persone con diverse sensibilità e diverse impostazioni. Ma, in realtà, la narrazione a cui faccio riferimento, che, inquadra la nascita della coscienza come il frutto dell’evoluzione, non intende dimostrare l’esclusione di altre narrazioni. In particolare, di quelle che associano la coscienza all’anima o di chi vede un grande disegno, una natura metafisica della coscienza, frutto di un “soffio” divino che ha permesso il dispiegarsi del grande disegno, magari a partire da quella lieve fluttuazione asimmetrica che ha dato origine al big bang e alla nascita dell’universo a noi conosciuto.

Ma, soprattutto, nel contesto del mio ragionamento, parlare della base biologica della coscienza e del sé umano è inclusiva rispetto al comune obiettivo di colmare la frattura e la distanza tra noi e la cosiddetta natura, o meglio, tra la natura che pensa sé stessa e la natura oggetto del pensare. Con tutti i vantaggi che questa auspicata unione e senso di comune appartenenza può portare per la salvezza del nostro mondo e per lo stesso significato dell’esistenza, che, noi stessi, “natura pensante”, offriamo al mondo.

Cosa si intende per coscienza? Lo stato di consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante. Il neuroscienziato Antonio Damasio definisce “proto-Sè”, un insieme di dispositivi cerebrali e somato-sensoriali, che “mantengono continuamente e non consciamente lo stato del corpo entro un ristretto intervallo di valori di parametri, che assicurano una relativa stabilità necessaria alla sopravvivenza”. Sempre Damasio, introduce il concetto di “sé nucleare”: “i dispositivi cerebrali della rappresentazione, che generano una descrizione non verbale, per immagini, del modo in cui lo stato dell’organismo viene modificato dall’elaborazione di un oggetto, da parte dell’organismo stesso”.

Se la mente cosciente si affermò nell’evoluzione è perché ottimizzò la regolazione dei processi vitali. In ogni mente cosciente, il sé è il primo rappresentante dei meccanismi individuali di regolazione della vita, il guardiano e l’amministratore del valore biologico. L’immensa complessità cognitiva, che caratterizza l’attuale mente cosciente degli esseri umani, è in larga misura motivata e orchestrata dal sé, che dà un valore, così come, ad uno stadio biologico, lo danno i parametri che assumono livelli, più o meno ottimali, rispetto al benessere degli stati del corpo.

Mentre il sé nucleare pulsa incessantemente, sempre online, il “sé autobiografico” (il protagonista della conoscenza interna ed esterna auto raccontata), conduce una seconda vita che si svolge in privato, lontano dalla coscienza accessibile. E’, forse, proprio lì che il sé matura grazie alla progressiva sedimentazione e alla rielaborazione della memoria.

La nostra mente attiva la coscienza rispetto ad “oggetti” prominenti, cioè portati all’attenzione dal valore che hanno per noi. Il cervello tende a organizzare questa profusione di materiale, proprio come farebbe un montaggista, conferendole un qualche tipo di struttura narrativa, in base alla quale certe azioni causano certi effetti e, in base alla quale, il sé autobiografico colloca la propria identità all’interno di una storia collettiva.

Nel momento in cui le esperienze vissute sono ricostruite e riesperite, sia nel corso della riflessione cosciente, sia in una elaborazione non cosciente, la loro sostanza viene rivalutata e inevitabilmente riorganizzata e subisce modificazioni che, in termini di modificazioni fattuali e di accompagnamento emozionale, possono essere minime o molto significative.

Durante questo processo, entità ed eventi acquistano un nuovo peso emozionale. In “sala di montaggio”, alcuni fotogrammi della rievocazione sono lasciati cadere, altri vengono rigenerati e migliorati ed altri ancora sono combinati così abilmente dalla nostra volontà o dai capricci del caso da creare scene nuove che non sono mai state girate. Ecco perché, con il passare degli anni, la nostra storia è impercettibilmente riscritta ed i fatti possono acquistare un nuovo peso e perché, oggi, la musica della memoria è diversa da quella dell’anno scorso.

 

  1. La coscienza sta cambiando nell’era digitale?

La virtualità in cui siamo sempre immersi spesso ci porta ad infrangere i limiti dell’attenzione, con ovvi benefici interni di multitasking, ma che comporta alcuni costi compensativi, in termini di apprendimento, consolidamento della memoria e dell’emozione. Non abbiamo idea di quali possono essere questi costi.

L’attuale rivoluzione digitale, la globalizzazione dell’informazione culturale e l’inizio dell’era dell’empatia sono pressioni che probabilmente porteranno a modificazioni strutturali della mente e del sé (ovvero modificazioni di quegli stessi processi cerebrali che plasmano entrambi). Mentre le micronarrazioni che produciamo e consumiamo stanno cambiando anche i nostri sé sociali e quindi il modo con cui ci percepiamo.

Oggi, la coscienza è ancora un flusso, ma appare in forma di bit, non i bit del filosofo e psicologo william James (1842-1910), naturalmente, ma i bit dei social. Non c’è niente di così piccolo irrilevante o perfino privato da rimanere taciuto. Ogni singolo dato può contribuire a descrivere l’identità personale di qualcuno. Ogni bit d’informazione può lasciare da qualche parte una traccia momentanea, come le foto imbarazzanti postate da un compagno, che scompariranno, naturalmente, ma un po’ più lentamente dei precedenti sé.

Inoltre, le dimensioni planetarie delle questioni ambientali, il rapporto con un artificiale, che sembra diventare costitutivo e parte integrante dell’ambiente, sono forti indizi di una trasformazione epocale, di un inizio di nuova era, che solo i posteri codificheranno davvero come tale. Questo richiede, comunque, una nuova narrativa, vale a dire un nuovo modo di spiegare a noi stessi la complessa situazione in cui versiamo ed il progetto umano che intendiamo perseguire.

 

  1. Antropocene e infosfera: la grande accelerazione ha portato le minacce o le opportunità ad un punto di svolta?

Quando si dice, però che, ad esempio, il problema del riscaldamento globale è entrato nella coscienza, ci si riferisce alla coscienza in senso morale, che è una funzione complessa, che, effettivamente, richiede lo stato di coscienza, ma si spinge ben oltre ed è attinente alla responsabilità che, a sua volta, è parte delle narrazioni del sé autobiografico (la coscienza umana).

Tutto questo è il carattere distintivo dell’uomo, che però risulta essere la specie che ha portato alla distruzione delle varietà, comportandosi come fosse un virus. E questo, senza bisogno, necessariamente, di pensare all’evoluzione culturale che ha portato alla società industriale, visto che, ad esempio, il 95% delle varietà delle specie in Australia sono sparite per colpa degli aborigeni. È vero: le estinzioni australiane sono avvenute in tempi molto lunghi, mentre la caratteristica dell’attuale antropocene è la grande accelerazione nei consumi delle risorse ambientali, con conseguenze, in tempi storici, di dimensioni planetarie. È sempre, comunque, lo stesso homo sapiens, con le sue “eccezionalità”, che sembra essere l’“asso pigliatutto”.

La coscienza di sé porta anche all’identificazione nei comportamenti complessi e culturali degli altri, nella coscienza collettiva. Una coscienza, però, che, per la sua stessa definizione, non può che essere “egoriferita” o meglio “specie-riferita”, dal momento che, a livello di individuo di quella specie, si sviluppa proprio operando, nella percezione, una divisione tra gli “oggetti” esterni ed il sé corporeo. Un sé, che, nelle relazioni con gli “oggetti esterni”, ne percepisce l’esistenza in relazione a sé stesso e, quindi, “posseduti” dal sé protagonista, in quanto in grado di modificarne l’esistenza, entrando in relazione con essi.

Sembrerebbe, quindi, quasi costitutiva della coscienza umana la caratteristica di essere una coscienza “specie-riferita”, senza, quindi, possibilità di estendere i propri confini, come idealmente sarebbe auspicabile, così da interiorizzare, non solo la natura che pensa sé stessa, ma la natura che salva sé stessa, attraverso la sua parte pensante.

L’evoluzione del linguaggio ha portato, però, all’identificazione di un sé autobiografico, come di un sé che può persino riprogettare sé stesso, cioè riprogettare la sua stessa natura.

Purtroppo, i meccanismi di retroazione e compensazione, che hanno mantenuto una regolazione e stabilizzazione, sono stati sviluppati in tempi lunghi. Nei tempi storici, che sono alla portata del nostro sé progettuale, potremmo prendere una strada divergente, irrecuperabile, senza accorgercene, se non quando è troppo tardi.

La stessa innovazione tecnologica, che ci ha dato un potere manipolatorio sul resto della natura, ma che ci ha anche dato un potere di progettazione del cambiamento e adattamento è, ormai, parte integrante del nostro ambiente, indipendentemente che sia utilizzata per una crescita indefinita o per regolare gli adattamenti e le conseguenze di una possibile decrescita.

Purtroppo, lo sviluppo della tecnologia, dell’intelligenza artificiale, comporta lo sviluppo di un ambiente adeguato agli algoritmi, che portano ad una marginalizzazione dell’uomo, proprio perché lo stesso ambiente viene costruito a misura dell’artificiale, con un impatto, quindi, essendo parte integrante dell’ambiente umano – virtuale e reale senza soluzione di continuità – sulle narrazioni ricostruite dal sé autobiografico, e, quindi, sulla stessa identità.

È questo il dilemma a cui dobbiamo prestare attenzione: da una parte l’artificiale prodotto dalla naturale estensione della nostra coscienza, internamente con l’invenzione del linguaggio, esternamente con i meccanismi e gli artifici, che potrebbe fornirci la soluzione per il nostro sviluppo, dall’altra il cambiamento profondo nel nostro stare al mondo e persino nella nostra coscienza che l’artificiale si porta dietro.

La vera preoccupazione non è quella della “presa del potere” da parte degli algoritmi e delle macchine, ma quella della costruzione di un mondo a misura di algoritmo, in cui noi forse potremmo ancora continuare ad avere un ruolo di produzione di valori e di significati, ma la cui importanza dipende dal tipo di ruolo. Sarà, cioè, residuale e funzionale al sistema artificiale o, invece, di orientamento per il disegno del mondo che vogliamo? Se è quest’ultimo il ruolo che vorremmo, non dovremmo, fin da subito, introdurre l’etica come parte integrante nella progettazione e organizzazione delle attività economiche e sociali e dei relativi meccanismi artificiali di supporto?

 

  1. La coscienza umana nel nuovo rapporto con la dimensione ambientale e artificiale.

Un altro fattore che potrebbe spingere all’evoluzione della coscienza, attraverso le relative narrazioni sociali, potrebbe essere costituito dall’identificazione e dal senso di appartenenza al pianeta, stimolate dalla percezione delle conseguenze globali delle proprie azioni, così come sempre più sono veicolate dai media.

Ma questa identità sociale planetaria entra in una dialettica conflittuale con le modalità di regolazione delle convivenze sociali e di comunità, che fanno riferimento ancora allo Stato sovrano, che ha, secondo i principi vigenti: a) il diritto fondamentale alla propria autodeterminazione politica; b) l’uguaglianza di tutti gli Stati; c) la non interferenza di uno Stato negli affari interni di un altro Stato.

Migliaia di anni fa l’umanità è stata testimone dell’invenzione della scrittura e dell’emergenza di quelle condizioni di possibilità che hanno condotto alla formazione di città regni, imperi, stati sovrani, nazioni e organizzazioni intergovernative. Questo non è casuale. Le società preistoriche erano prive delle tecnologie di informazione e comunicazione (ICT).

Lo Stato è stato un tipico fenomeno storico, che è emerso quando i gruppi umani hanno cessato di vivere alla giornata in piccole comunità e hanno iniziato a vivere in modo organizzato. Ampie comunità sono diventate società politiche, con la divisione del lavoro e la specializzazione dei ruoli, organizzate sotto qualche forma di governo, che amministra le risorse attraverso il controllo della ICT, inclusa quella speciale tipologia di informazione che è il denaro.

Dalle tasse, alle leggi, all’amministrazione della giustizia, alla forza militare; dal censimento all’infrastruttura sociale, per lungo tempo, lo Stato ha rivestito il ruolo di principale agente informativo e pertanto la storia, in particolare, quella moderna è l’età dello Stato.

Se l’organizzazione fondata sullo “Stato” non è in grado di assicurare il vero obiettivo di specie, quale è assicurare la sopravvivenza nel tempo, allora, tra cinquant’anni i nostri nipoti potranno guardare a noi come l’ultima generazione storica, fondata sull’organizzazione dello Stato, in modo non troppo dissimile da come noi guardiamo alle tribù dell’Amazzonia, come esempio delle ultime società preistoriche senza Stato. Ci vorrà molto tempo prima di comprendere la portata di queste trasformazioni. E questo è un problema, dato che non abbiamo altri 6 millenni di fronte a noi (si veda: Floridi “La quarta rivoluzione”). Abbiamo accettato di assumerci un rischio tecnologico con le ICT e abbiamo solo poco tempo per vincere la partita ecologica dal momento che il futuro del pianeta è la posta in gioco.

Dopotutto, sviluppare perfino una rudimentale forma d’intelligenza non biologica, può apparire non soltanto come la migliore, ma, forse, l’unica via per implementare un ICT sufficientemente flessibile e abile ad adattarsi, in modo da riuscire a gestire in modo efficiente un ambiente complesso, in continuo cambiamento e spesso imprevedibile, se non addirittura ostile.

Il problema che spesso viene avvertito, rispetto ad un mondo avvolto da una ICT più intelligente, non dovrebbe essere quello di subire un potere superiore e neppure quello di un mondo che ci renda nel contempo più stupidi. È, però, il mondo che, invece, sta diventando un’infosfera sempre di più adattata alle limitate capacità di ICT.

Ciò che conta non è tanto il fatto di spostare bit anziché atomi – questa è la datata interpretazione della società dell’informazione basata sulla comunicazione che deve troppo alla sociologia dei mass-media – quanto piuttosto il fatto, ben più radicale, che la nostra comprensione e teorizzazione dell’essenza e della trama del reale stia mutando.

Invero, abbiamo iniziato ad accettare il virtuale come parte del reale e il reale come parte del virtuale. Non tanto la comunicazione e, quindi, le transazioni, quanto la creazione, il design delle infrastrutture informative e la gestione delle informazioni, che sono le chiavi per una più adeguata comprensione, necessaria per uno sviluppo sostenibile dell’infosfera (Floridi; op.cit).

 

  1. Il ruolo dell’etica e dell’uomo come produttore di significati.

Capire perché vi siano narrazioni, che cosa le giustifichi e quali migliori narrazioni possano sostituirle è un modo meno ingenuo e più fruttuoso di procedere. L’ ICT sta creando il nuovo ambiente informazionale, in cui le generazioni future trascorreranno la maggior parte del loro tempo. Ci troveremmo gravi problemi, se non prendessimo sul serio il fatto che stiamo costruendo nuovi ambienti fisici e intellettuali, che saranno abitati dalle future generazioni. Proprio alla luce del rilevante numero e tipo di interazioni mediate dall’ICT, che sperimenteremo, sempre più, con altri agenti, sia biologici, sia artificiali e nella comprensione di noi stessi, un approccio ambientale sembra essere un modo fecondo di affrontare le nuove questioni etiche sollevate dalla ICT. Si tratta di un approccio che non privilegia il naturale o ciò che è incontaminato, ma tratta, come vere e genuine, tutte le forme di esistenza e comportamento (sempre in Luciano Floridi. “la quarta rivoluzione”).

Il compito è dunque quello di formulare un quadro etico, che possa trattare l’infosfera, come un nuovo ambiente meritevole di cura e di attenzione morale da parte degli umani che la abitano.

Questo tipo di etica e ambientalismo sintetico (sia nel senso olistico o inclusivo, sia nel senso artificiale) comporterà il mutare del modo in cui percepiamo noi stessi e i nostri ruoli in rapporto alla realtà, di ciò che consideriamo degno di rispetto e di cura e di come intendiamo riconciliare il naturale e l’artificiale. Ciò richiederà un’attenta riflessione sul progetto umano e una revisione critica delle nostre attuali narrative a livello individuale, sociale e politico.

In fondo una vera rivoluzione che investirà le più varie culture, che su tutta la terra cercano un futuro ricco di esperienze positive, anche se sorgono dibattiti spinosi e affascinanti, quando si cerca un accordo su quel che va considerato positivo e su come arrivare a compromessi su quel che è bene per forme di vita differenti.

Non lasciamo però che simili controversie ci distraggano dalla questione inaggirabile: non ci possono essere esperienze positive se non ci sono esperienze, se cioè non c’è coscienza. In altre parole, senza coscienza, non possono esservi felicità, bontà, bellezza, significato o finalità, ma solo un astronomico spreco di spazio.

Questo comporta che, quando qualcuno si interroga sul significato della vita, come se fosse compito del nostro cosmo dare un significato, sta prendendo le cose dal punto di vista sbagliato: non è il nostro universo che dà significato agli esseri coscienti. Sono gli esseri coscienti che danno significato al nostro universo. Perciò il primissimo scopo sulla nostra lista dei desideri per il futuro deve essere mantenere (e si spera anche espandere) la coscienza biologica e/o artificiale nel nostro cosmo, anziché condurla all’estinzione.

Tradizionalmente, abbiamo sempre fondato la nostra autostima sull’idea dell’eccezionalismo umano, sulla convinzione che siamo le entità più intelligenti sul pianeta e perciò siamo unici e superiori. La crescita dell’IA ci costringerà ad abbandonare questo modo di pensare e diventare più umili. In effetti, l’eccezionalismo umano non solo ha provocato grandi sofferenze in passato, ma sembra anche non essere necessario per lo sviluppo del genere umano.

Il futuro della coscienza è ancora più importante, perché è quello che favorirà la “produzione” di significato e di senso, che manterrà un ruolo importante per l’uomo, non marginalizzato in un ambiente che sembra essere friendly per le IA, ma non a misura dello sviluppo di una coscienza umana: da homo sapiens diventeremo “homo sentiens”?

 

Bibliografia principale:

Luciano Floridi; La quarta rivoluzione – Editore Raffaello Cortina
Antonio Damasio; Il sé viene alla mente – Editore Adelphi
Max Tegmark; Vita 3.0 – Editore Raffaello Cortina
Michael Gazzaniga; La coscienza è un istinto – Editore Raffaello Cortina
Remo Bodei; Dominio e sottomissione – Editore Il Mulino

 

 

(18 febbraio 2020)

©gaiaitalia.com 2020 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 





 

 

 

 

 

 

 




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