di Massimo Mastruzzo*
Il ministro Roberto Calderoli ha dato il via a un tour elettorale mascherato da istituzionale: il 18 novembre firmerà a Venezia le pre-intese sull’autonomia differenziata con Veneto e Lombardia; il giorno dopo toccherà a Piemonte e Liguria. Dietro ai sorrisi ufficiali e alle dichiarazioni di “soddisfazione” di Giorgia Meloni si cela una strategia politica ben precisa: una spartizione che premia in modo strutturale il Nord, mentre il Sud viene messo da parte.
Un regalo elettorale in piena regola
Salvini parla di “trent’anni di battaglie”: ma queste firme non sono il frutto di ideali federali, bensì un’operazione politica. Mentre in Veneto e Lombardia si esulta, in Campania – dove il centrodestra chiede il voto – si tace con colpevole silenzio sul vero impatto dell’autonomia. Perché? Perché gli accordi che si stanno siglando potrebbero costare caro al Sud.
Le disuguaglianze ci sono già — e potrebbero peggiorare
Secondo un rapporto Svimez, la spesa sanitaria pro-capite nel Mezzogiorno è nettamente più bassa rispetto al Nord: nel 2021, la Campania registra circa 1.818 € a testa, contro la media nazionale di 2.140 €.
Se le risorse venissero “territorializzate” senza adeguate compensazioni, il divario rischia di aumentare. Svimez stima che, mantenendo i criteri di riparto attuali, si produrrebbe una ricollocazione di risorse dal Sud al Nord che, entro il 2080, equivarrà a 9 miliardi di euro all’anno.
Il grande rischio di una sanità a due velocità
L’autonomia differenziata potrebbe permettere al Nord di istituire salari più alti o indennità per medici e infermieri: una “leva” potente che potrebbe accelerare la fuga di professionisti sanitari dal Sud verso il Nord. Non è fantasia: la migrazione sanitaria esiste già. Secondo il report Nurse Times sui dati Svimez, nel 2022 il 44% dei ricoveri per cittadini del Sud avviene in strutture del Centro-Nord, e il 22% dei pazienti oncologici meridionali si cura al Nord.
Se alcuni territori possono pagare di più, il Sud rimane nella trappola delle risorse ridotte e degli operatori sanitari che se ne vanno.
I promotori dell’autonomia, come il ministro Giorgetti, insistono: “non ci saranno oneri per la finanza pubblica”. Ma molti esperti non sono d’accordo. Secondo Ratio Iuris, se regioni come Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna trattenessero una quota significativa del gettito fiscale, lo Stato perderebbe entrate per decine di miliardi, aggravando il divario territoriale.
Inoltre, dati ufficiali indicano che il Veneto ha un residuo fiscale negativo di quasi -18,7 miliardi di euro nel periodo 2015-2019 (ovvero sta ricevendo più di quanto versa), un chiaro segnale della forte redistribuzione che già oggi funziona a senso unico.
Un progetto pericoloso per l’unità del Paese
Non si tratta solo di numeri economici: è una scelta politica che può incrinare gravemente la coesione nazionale. Come sottolineato da studiosi e costituzionalisti, l’autonomia differenziata, nella forma attuale, rischia di erodere i principi di solidarietà tra regioni, favorendo chi ha già risorse e capacità di autonomia.
Non è un caso che parte dell’opinione pubblica nel Sud veda con sospetto questa riforma: secondo un sondaggio riportato da Giancarlo Gasperoni, in Calabria la maggioranza (59%) è contraria all’autonomia differenziata, con solo il 19% di favorevoli.
In Campania, chiedere il voto significa legittimare un processo che potrebbe drenare risorse preziose verso regioni già ben strutturate e ricche. I cittadini meridionali meritano di essere informati con chiarezza: non è solo una partita burocratica su competenze e legislazione, ma un vero e proprio trasferimento economico su scala nazionale, che rischia di marginalizzare ancora di più il Mezzogiorno.
È questo il cambiamento che il centrodestra propone per il Sud?
*Direttivo nazionale MET
Movimento Equità Territoriale
(18 novembre 2025)
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