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Maria Cristina Gallo: vittima della malasanità e delle scelte politiche che penalizzano il Sud-Italia

di Massimo Mastruzzo*

Maria Cristina Gallo, una donna di 56 anni, è diventata simbolo di una sanità pubblica in crisi, vittima di un sistema che non riesce più a garantire le cure necessarie in tempi adeguati. Malata di tumore, Maria Cristina ha vissuto l’incubo di un’attesa infinita per un esame istologico fondamentale. L’esame, richiesto nel dicembre del 2023 dopo un intervento chirurgico, ha avuto un esito drammatico solo otto mesi dopo, nell’agosto del 2024, quando il tumore si era già trasformato in metastasi. Un’attesa che ha compromesso irreparabilmente il suo quadro clinico e le sue possibilità di cura.

Ma la storia di Maria Cristina non è un caso isolato. Dopo la sua denuncia, è emerso che nella sola ASP di Trapani erano stati accumulati 3.300 esami arretrati, con oltre 1.400 campioni del 2024 e più di 1.900 del 2025. La causa principale, secondo l’azienda sanitaria, è la cronica carenza di personale. Tuttavia, dietro questa drammatica inefficienza si nascondono le logiche economiche e politiche che, da anni, penalizzano gravemente le regioni meridionali.


Il divario tra Nord e Sud: un problema che affonda le radici nelle scelte politiche

Il sistema sanitario italiano è sempre più diviso in due: un Nord che beneficia di risorse e strutture migliori e un Sud che, nonostante i sacrifici dei suoi cittadini, non riceve la giusta attenzione da parte delle istituzioni centrali. I fondi destinati alla sanità, infatti, vengono distribuiti in modo sfavorevole per le regioni meridionali, che vedono sottrarre risorse fondamentali per ospedali, medici e personale sanitario. A beneficiare di queste risorse sono soprattutto le regioni del Nord, già ricche ed efficienti proprio grazie ai fondi provenienti dal Sud.

Ogni anno, migliaia di cittadini meridionali sono costretti ad emigrare verso le regioni settentrionali per ricevere cure adeguate. Un “turismo sanitario” che genera un giro d’affari di 5 miliardi di euro, come sottolineato da centri di ricerca in sanità come Gimbe, Crea Sanità e Agenas. Questa emigrazione sanitaria non fa altro che alimentare il divario tra le due Italie, mentre lo Stato non solo non colma le disuguaglianze, ma le esacerba ulteriormente, premiando le regioni già ben strutturate e penalizzando quelle del Sud.

L’articolo 32 della Costituzione italiana: un diritto tradito

Nonostante l’articolo 32 della Costituzione italiana tuteli la salute come “diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività“, la realtà quotidiana dei cittadini del Sud-Italia racconta una storia ben diversa. L’accesso alle cure e la tempestività dei trattamenti sono un lusso che solo chi vive nelle regioni settentrionali sembra potersi permettere. I casi di Maria Cristina Gallo, Serafino Congi, Carlotta La Croce e molti altri, dimostrano che la disuguaglianza sanitaria ha effetti devastanti sulla vita delle persone. In questi casi, l’attesa per un esame, una diagnosi o semplicemente una ambulanza, non è solo un disguido, ma si trasforma in tragedia.

Le cause di questa discriminazione sanitaria non sono da cercarsi solo nella carenza di personale, ma in un sistema che, troppo spesso, ha posto le scelte politiche e le logiche economiche sopra la salute dei cittadini. La politica, con le sue scelte di distribuzione dei fondi, ha contribuito ad accentuare un divario che ha conseguenze devastanti, non solo in termini di qualità delle cure, ma anche in termini di vite umane.


La sanità privata: la logica che alimenta il business sulla pelle dei malati

Un altro aspetto cruciale di questa crisi è il crescente indirizzo verso la sanità privata, sostenuto anche da alcune forze politiche. Le dichiarazioni dell’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Giancarlo Giorgetti, sono emblematiche. Nel 2019, durante un intervento al Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini, Giorgetti dichiarò che i medici di famiglia, figura fondamentale del sistema sanitario pubblico, sono ormai un concetto anacronistico. Un’affermazione che, seppur provocatoria, riflette una tendenza sempre più forte nella politica italiana: quella di spingere verso la privatizzazione della sanità.

Secondo l’Istat, però, il 74% degli italiani di età superiore ai 15 anni si rivolge al medico di famiglia almeno una volta all’anno, con una percentuale che arriva al 90,9% tra gli over 65. Questi dati mettono in evidenza l’importanza cruciale della medicina di base, che viene messa in discussione da una politica che sembra favorire l’accesso alle cure solo a chi può permettersi il privato.


La soluzione: una sanità equa per il Sud

Le proposte per le prossime elezioni regionali non possono ignorare il problema del “turismo sanitario” che impoverisce il Mezzogiorno. Il Movimento Equità Territoriale denuncia come il personale medico meridionale sia spesso vincolato a contratti che premiano la capacità di “trasferire” pazienti verso il Nord, creando un perverso circuito che trasforma la sofferenza in business.

È urgente un cambiamento di rotta. Prima di tutto, bisogna rendere sconveniente per le Regioni del Nord attrarre pazienti meridionali, ponendo fine al “mercato dei malati”. Le risorse destinate alla sanità devono essere ridistribuite equamente, garantendo una sanità pubblica di qualità in tutto il Paese, senza più divisioni tra Nord e Sud.

 

*Direttivo nazionale MET
Movimento Equità Territoriale

 

 

 

(10 dicembre 2025)

©gaiaitalia.com 2025 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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