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HomeIl CommentoEquità Territoriale è Equità di genere

Equità Territoriale è Equità di genere

di Massimo Mastruzzo*

Equità di Genere, purtroppo siamo ancora lontani da questa condizione distintiva di una moderna società civilmente evoluta. Nel “moderno” occidente piuttosto si fa grande confusione tra modernità e Equità di Genere.

Ricorrono due anni da uno dei tanti orribili fatti di cronaca, il più lontano da quella che dovrebbe essere una società civile, atroce atto troglodita: un uomo ammazza barbaramente una donna, lo fa colpendola con un martello (all’Età della pietra, 10000 a.C, l’unica differenza era nell’uso dell’arma: la clava al posto del martello). È successo nell’ottobre del 2021 in un comune a ridosso di Brescia, la vittima si chiamava Elena.

Il “mondo occidentale” che per bocca delle parole di Piantedosi, dette in conferenza stampa dopo la tragedia di Cutro, ha dato il più basso esempio di umanità: “L’unica cosa che va detta ed affermata è: non devono partire. Non ci possono essere alternative. Noi lanciamo al mondo questo messaggio: in queste condizioni non bisogna partire”.

Ed ancora più incredibilmente ha aggiunto:

non credo che si possa sostenere che al primo posto ci sia il diritto o il dovere di partire e partire in questo modo. Io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità di non chiedermi cosa devo chiedere io al luogo in cui vivo ma cosa posso fare io per il Paese in cui vivo per il riscatto dello stesso“.

Cioè questo ministro italiano chiede ad una bambina afghana di fare qualcosa per il suo paese; ad una mamma siriana di essere responsabile, in Siria, del futuro dei suoi figli; alle giovani donne iraniane di fare qualcosa,  in Iran, per il riscatto del loro paese; vorrei far osservare che il primo esempio di emancipazione femminile in Italia avviene solo poco più di 50 anni fa (nel 1966) grazie a Franca Viola, considerata la prima donna italiana a rifiutare il “matrimonio riparatore”. Perché fino al 1981, in Italia, una persona colpevole di stupro poteva evitare di andare in prigione se sposava la persona che aveva stuprato. Una barbarie etica. E fino al 1966, in Italia, lo stupro veniva considerato un “delitto contro la moralità pubblica e il buon costume” e non contro la persona.

Come si può avere l’Equità di genere se vengono negati gli Eguali diritti

L’uguaglianza di genere, conosciuta anche come parità tra i sessi, parità di genere, uguaglianza sessuale o uguaglianza dei generi, è una condizione nella quale le persone, che siano esse donne o uomini, ricevono pari trattamenti, con uguale facilità di accesso a risorse e opportunità, indipendentemente dal genere, a meno che non ci sia una valida ragione biologica per un trattamento diverso. L’affermazione della parità di genere è solennemente avvenuta nella Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite che cerca di creare uguaglianza nel diritto e nelle situazioni sociali, come ad esempio in attività democratiche, e di garantire parità di retribuzione a parità di lavoro. Con la decisione del Consiglio del 20 dicembre 2000, relativa al programma concernente la strategia comunitaria in materia di parità tra donne e uomini (quinto programma d’azione 2001-2005), “l’Unione Europea ha previsto, anche sulla base della relazione annuale presentata dalla Commissione nel 2004, interventi specifici di sensibilizzazione sulle problematiche di genere, studi sull’efficacia delle politiche comunitarie in materia, forme di finanziamento utili alla stessa realizzazione del programma”.

Fatta questa premessa, andiamo a scontrarci con la cruda realtà nostrana:

Il tasso di occupazione femminile nel Mezzogiorno è tra i più bassi in Europa. Il divario delle regioni del Sud rispetto alla media europea, già elevatissimo nel 2001 (circa 25 punti percentuali), si è ulteriormente ampliato arrivando sopra i 30 punti, nel 2017.

Purtroppo, quando si parla di condizione della donna – soprattutto sul piano lavorativo – le differenze (in negativo) si registrano non solo tra l’Italia e gli altri Paesi europei, ma principalmente tra il Nord e il Sud della Penisola.

Se oggi pensiamo alla condizione della donna nel Mezzogiorno rispetto alla mancata Equità Territoriale, che pone le Regioni del sud Italia agli ultimi posti nella UE, vedremo che sommando a questa la mancata Equità di Genere, la donna nel sud Italia vede doppiamente negati i propri diritti di essere umano.

“Affrontare le questioni del Mezzogiorno al femminile consente di cogliere uno dei nodi centrali rimasti irrisolti nel nostro Paese che, in particolare nella condizione della donna, continua a marcare divari particolarmente sensibili con i principali partner europei”. Questo è quanto emerge dai dati di una ricerca SVIMEZ sulla condizione delle donne nel Sud, da dove si evince con chiarezza come la questione femminile sia una delle facce più evidenti e problematiche della più generale Questione meridionale. Secondo la SVIMEZ, “i principali indicatori evidenziano come la situazione di svantaggio italiana sia in larga parte legata ai valori delle regioni meridionali”. Qualche parallelo con le regioni d’Europa può essere utile a mettere meglio a fuoco il fenomeno: il tasso d’occupazione femminile tra 15 e 64 anni, in Sicilia, Campania, Puglia e Calabria, è addirittura più basso della Guaiana francese, dell’Estremadura spagnola, della Tessaglia e della Macedonia in Grecia.

Nella ricerca – che riporta alcuni dati di una più ampia ricerca condotta dalla SVIMEZ – si legge ancora che al Sud le donne sono generalmente svantaggiate rispetto al Nord, nonostante le meridionali riescano comunque ad acquisire conoscenza e formazione che consentirebbero loro di essere competitive sul mercato del lavoro. Nella graduatoria che confronta il tasso di occupazione delle regioni e province autonome italiane con le 276 regioni europee, emerge dunque un divario interno all’Italia: solo la provincia di Bolzano (tasso pari al 71,5 per cento) si posiziona nella prima metà; seguono, in linea con la media europea, le regioni Emilia-Romagna e Valle d’Aosta e la provincia di Trento. Le regioni del Mezzogiorno sono invece tutte in fondo alla graduatoria: in particolare, Puglia, Calabria, Campania e Sicilia occupano gli ultimi quattro posti, con un valore del tasso di occupazione pari al 30 per cento circa (quasi 35 punti al di sotto della media europea).

Secondo dati del 2018, le donne meridionali laureate che hanno trovato occupazione sono pari al 63,7 per cento, contro una media europea dell’81,3 per cento; il dato migliore appartiene nuovamente al Centro-Nord, dove la percentuale è del 79,8. Inoltre, fra le donne meridionali occupate, una su tre lavora al Nord (circa il 62 per cento).

La scarsa partecipazione femminile è connessa all’incapacità delle politiche italiane di welfare e del lavoro di conciliare la vita lavorativa a quella familiare, causando anche incertezza economica e una modifica dei comportamenti sociali, tra cui la riduzione del tasso di fertilità delle italiane. Nell’ultimo decennio le donne meridionali sono passate dai tassi di fertilità molto più elevati rispetto a quelle del Centro-Nord a tassi sensibilmente più bassi: 1,29 figli per donna al Sud rispetto a 1,34 nelle regioni centrali e settentrionali. Contro 1,90 della Francia, 1,75 della Danimarca, 1,57 della Germania. Ciò è anche una conseguenza di servizi per l’infanzia offerti dalla pubblica amministrazione alquanto carenti: nel Mezzogiorno la percentuale di bambini minori di tre anni che ha usufruito di servizi per l’infanzia è del 2% in Calabria, del 3% in Campania, del 4,8% in Sicilia, con una media meridionale pari appena al 5%, contro il 16,6% del Centro-Nord, con punte di oltre il 20% in Trentino, in Friuli, in Valle d’Aosta, in Emilia, in Toscana.


*Direttivo nazionale MET – Movimento per l’Equità Territoriale

 

 

(8 marzo 2023)

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