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Glifosato come paradigma del biopotere #milapersiste

di Mila Mercadante #milapersiste twitter@gaiaitaliacom #attualità

 

 

“Nuda vita e campo. Al loro apparire a metà degli anni novanta, questi due concetti suscitarono polemiche e scandalo, e faticai non poco per far capire in che senso la produzione della nuda vita definiva l’operazione fondamentale del potere e perché il campo e non la città fosse il paradigma politico della modernità” Giorgio Agamben, da un’intervista di Antonio Lucci – Doppiozero. 

 

Glifosato, viva i favorevoli e abbasso i contrari

Sull’etichetta del Roundup (erbicida della Monsanto, oggi Bayer) non vi sono indicazioni circa la pericolosità dei suoi componenti eppure quel prodotto distrugge salute, ecosistema e biodiversità perché contiene glifosato. Si tratta di un diserbante non selettivo a cui resistono soltanto le cultivar transgeniche. Probabilmente non tutti sanno che il glifosato non è stato prodotto per l’utilizzo nel settore agricolo bensì come detergente per la pulizia delle tubature degli impianti industriali. Il glifosato è un chelante, forma un legame con tutti i metalli con cui viene in contatto. Come diserbante forma un complesso coi metalli tossici presenti nei terreni coltivati o nei prati dei parchi e questo complesso viene assorbito dagli esseri umani e dagli animali. Una volta assimilato nell’organismo il glifosato si attacca ai metalli che sono necessari e vitali (ferro, magnesio, zinco) provocandone la carenza e indebolendo il sistema immunitario. Il glifosato ha anche spiccate proprietà antibiotiche: distrugge i batteri cattivi e quelli buoni. E’ del 2010 uno studio effettuato in Argentina che suscitò molto rumore: si dimostrava che il glifosato sia allo stato puro che come principio attivo del Roundup interferisce con l’acido retinoico3, il quale tra le altre cose controlla due geni che sono fondamentali per lo sviluppo del sistema nervoso centrale degli uomini e di tutti gli animali, siano essi mammiferi o meno. Dunque siamo di fronte a un distruttore endocrino. La dottoressa Belpoggi, direttrice del centro di ricerca Cesare Maltoni di Bologna, ha effettuato indagini sul glifosato da cui emergono alterazioni al sistema endocrino, alterazioni al microbioma intestinale e lesioni permanenti a organi-bersaglio. La ricerca non ha escluso gli effetti cancerogeni a lungo termine. Altre ricerche hanno evidenziato la correlazione tra glifosato e morbo di Parkinson, nonché linfoma non-Hodgkin.

Nel 2012 il professore di biologia molecolare Eric Séralini pubblicò un accurato studio sulla tossicità del Roundup e di un tipo di mais transgenico in grado di tollerare il Roundup. Lo studio dimostrava l’alta pericolosità del glifosato per gli uomini e per gli animali, ragion per cui ebbe inizio una massiccia campagna contro Séralini e contro la rivista scientifica che aveva pubblicato lo studio, la “Food and chemical toxicology”, costretta a ritirare il lavoro di Séralini. L’attacco a Séralini fu alimentato dalla società SMC, Science Media Center, con sede negli USA e finanziata al 70% da Monsanto e da altre società di ingegneria genetica. La stampa ufficiale americana si schierò dalla parte di SMC, così come fecero alcuni scienziati. Più tardi si scoprì che almeno uno di questi scienziati aveva ricevuto circa 57mila dollari dalla Monsanto per diffondere notizie rassicuranti sugli OGM; del resto non c’è neanche bisogno di leggere i papers sulla Monsanto per capire che le multinazionali pagano scienziati spacciati come indipendenti perché sostengano l’innocuità dei loro prodotti, nel caso specifico per diffondere notizie rassicuranti circa la non correlazione tra cancro e glifosato. Séralini non è stato il solo a subire discredito e persecuzioni vere e proprie dai lobbisti degli OGM.

Nel 2015 l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), l’ECHA (Agenzia Europea per le sostanze Chimiche) e l’EPA (agenzia americana per la protezione ambientale), malgrado fossero noti i numerosi casi di tumori contratti dagli agricoltori in ogni parte del globo e malgrado tutte le sentenze dei tribunali a sfavore di Monsanto, hanno dichiarato di non possedere elementi sufficienti per ritenere cancerogeno il glifosato. L’EFSA ha fatto riferimento a studi e analisi condotti dal BfR – Istituto Federale Tedesco per la Valutazione del Rischio – il quale è notoriamente a libro paga dell’Interational Life Science, una lobby di cui fa parte il gotha dell’industria alimentare, chimica, farmaceutica e biotecnologica. Le interferenze di lobbying in sede UE sono talmente evidenti da non poter essere negate.

Dopo l’acquisizione di Monsanto da parte della tedesca Bayer, nel 2017 l’Unione europea ha autorizzato l’uso del glifosato in agricoltura per altri 5 anni, fino al 2022, nonostante vi fosse una precedente risoluzione non vincolante votata dall’Europarlamento per l’eliminazione progressiva della sostanza: la risoluzione stabiliva che entro il 15 dicembre 2022 l’industria avrebbe dovuto esaurire tutte le scorte preesistenti di glifosato e nel frattempo preparare soluzioni alternative da lanciare sul mercato. Col voto favorevole del 2017 (e il tradimento della Germania che cambiò all’ultimo momento l’intenzione di voto perché direttamente interessata) la decisione presa da un Parlamento che in UE non ha mai contato nulla è stata annullata con la conseguenza che a partire dal 2022 Bayer avrà ancora altri anni a disposizione per l’esaurimento scorte, prima di propinarci un nuovo prodotto frutto della collaborazione con la Dupont: il Dicamba.

 

Glisofato in Italia

Nel 2012 in Italia un regolamento ministeriale concesse l’utilizzo di glifosato non solo per diserbare i terreni prima delle semine ma anche per disseccare le piante prima del raccolto dei cereali, così come avviene in molti altri paesi europei e non. A che serve il disseccamento pre-raccolto? Facilita le operazioni di raccolta che quando la pianta è umida richiedono più tempo. Il risparmio di tempo conta più della salute umana e ambientale. Nel 2016 fortunatamente quel regolamento in Italia è stato abolito ed è entrato in vigore un nuovo decreto che vieta l’uso di glifosato prima del raccolto. Nel nostro paese il glifosato viene usato nell’agricoltura e nelle aree verdi residenziali (parchi, campi di calcio e da golf) da almeno 30 anni. Le nostre regole sono più severe rispetto a quelle di altri paesi, quindi mangiare una pasta contenente il 100% di grano italiano non salva nessuno ma un po’ aiuta. La presenza di tracce di glifosato (0,094 milligrammi per chilo) riscontrata in alcune delle paste prodotte da marchi italiani molto noti è dovuta al fatto che il grano duro utilizzato non sia italiano ma provenga dall’estero in quantità che oscillano tra il 30% e il 40%. Un ricercatore del centro CREA, Danilo Marandola, in un articolo sul glifosato pubblicato da La Repubblica un anno fa consigliava di limitare il più possibile l’uso di pasta e altri alimenti industriali a base di grano e cereali contenenti prodotti di sintesi o OGM. Il glifosato lascia residui lungo tutta la filiera dei cibi, dal grano alla farina fino alla pasta, dai cereali ai mangimi fino alla carne e agli altri derivati animali. E’ del 2014 uno studio Ispra in Lombardia (unica regione italiana che effettua monitoraggio delle acque) che rilevò nelle acque superficiali frequenti superamenti dei livelli di tolleranza e tracce di glifosato nelle urine umane. Nel resto d’Europa non va meglio: nelle urine del 44% dei cittadini di 18 paesi sono stati riscontrati residui di glifosato, mentre in Germania nel 2016 la Heinrich Böll Foundation rilevò residui di glifosato nelle urine del 99,6% dei cittadini. Le urine del 75% di essi presentavano tracce di glifosato superiori ai limiti di tolleranza (fonte Corsera, aprile 2016).

 

Il caso India

Il caso India è eclatante per le estreme conseguenze che la coltivazione OGM ha provocato. Un successo economico per Monsanto, un disastro per gli agricoltori. Circa il 70% della popolazione indiana vive di agricoltura, un settore che rappresenta un quarto del Pil. Monsanto arrivò in India nel 1949, ben accolta col suo carico di pesticidi e fitosanitari che rappresentavano per i coltivatori di cotone una manna: il cotone è particolarmente vulnerabile all’attacco degli insetti e dei parassiti. Negli anni ’60 l’India si era data alla coltivazione di piante da cotone ibride per l’alto rendimento che esse garantivano. Fu già allora che le cose cominciarono ad andar male per gli agricoltori: insetti e parassiti cominciarono a resistere ai pesticidi, di conseguenza l’uso di questi ultimi divenne massiccio. I costi di produzione lievitarono, le tasche degli agricoltori costretti a indebitarsi per acquistare quantità sempre maggiori di sostanze chimiche si svuotarono. Nel 1980 l’India ebbe necessità di richiedere l’aiuto economico del FMI, il quale chiese in cambio l’apertura incondizionata del paese al mercato internazionale. Da quel momento le terre coltivate divennero un immenso laboratorio sperimentale illegale, così come la scienziata e ambientalista Vandana Shiva ha denunciato nel 1999 presentando un ricorso presso la Corte Suprema contro Monsanto e Mahyco (replica indiana della Monsanto).  Per tutta risposta, nel 2002 il governo indiano autorizzò l’utilizzo di cotone transgenico, il cotone BT prodotto dalla Monsanto, la quale prometteva una resa tre volte superiore alla norma. La tecnologia OGM esige più sementi perché i semi sono sterili, non si riproducono come in natura e vanno riacquistati, esige più pesticidi perché i parassiti imparano a sopravvivere ed esige più acqua perché l’agricoltura super-intensiva e gli agenti chimici impoveriscono moltissimo il terreno. Tutto questo col tempo ha portato gli agricoltori indiani sul lastrico: in 15 anni 250mila suicidi, in 20 anni almeno 20 milioni di contadini disperati si sono trasferiti dalle loro terre alle periferie degradate delle grandi città. Alla fine della fiera i contadini che si ammalano e finiscono male si sostituiscono mentre l’India resta sempre al terzo posto nel mondo per la produzione del cotone, preceduto solo da USA e Cina.

 

Chimica e farmaceutica dai lager nazisti ad oggi

Monsanto e Bayer, già prima dell’acquisizione da parte di quest’ultima, hanno alle spalle un sodalizio da horror. Le due multinazionali hanno formato una coppia diabolica sin dai tempi del cartello del colosso chimico-farmaceutico della IG Farben, Mobay, nato nel 1925 dalla fusione di sei società tra cui Bayer, Hoechst, Basf, Agfa. Come scrive Vandana Shiva “Monsanto e Bayer hanno una lunga storia. Hanno prodotto esplosivi e gas venefici usando tecnologie condivise e hanno venduto entrambi alle due parti in conflitto in tutte e due le Guerre Mondiali. Gli stessi agenti chimici furono acquistati dalle forze Alleate e da quelle dell’Asse, con denari prestati dalle stesse banche federate nella Fed”.

Il famigerato gas mostarda (iprite) adoperato durante la prima guerra mondiale è un successo targato IG Farben: se non si usa più per sterminare nemici, oggi l’iprite viene utilizzato come componente di alcuni chemioterapici, precisamente clorambucile, cisplatino e carboplatino. Alla IG Farben si devono anche il gas ZyklonB che si usava nei lager nazisti per sterminare gli ebrei (prodotto da Bayer) e l’Agente Arancio usato durante la guerra del Vietnam.

Chi produce contemporaneamente farmaci e pesticidi ha in mano le sorti dell’umanità. IG Farben ebbe nelle sue mani le sorti dell’umanità: fu il motore di tutta l’economia tedesca. Senza IG Farben non ci sarebbe stato un Hitler tanto potente, e neanche l’olocausto. La multinazionale costruì e gestì oltre 40 campi di concentramento nazisti. Chi c’era dietro IG Farben?

 

Gli Stati Uniti e gli aiuti al Nazismo

Dopo aver perso il primo conflitto mondiale la Germania si ritrovò con un debito di oltre 31 miliardi di dollari che non avrebbe mai potuto ripagare se non avesse ricevuto un consistente sostegno internazionale. Ci pensarono gli americani con due piani di aiuto per risollevare la Germania e gli alleati, il piano Dawes e il piano Young, che servirono essenzialmente a legare mani e piedi l’Europa agli Stati Uniti con il meccanismo dell’indebitamento. I pagamenti dei debiti tedeschi furono richiesti dapprima in beni e successivamente in denaro, cosa che creò al Terzo Reich una mole impressionante di debiti e un livello altissimo di disoccupazione, due elementi chiave dell’ascesa di Hitler.

Sui rapporti fra la chimica tedesca e gli Stati Uniti il resoconto dettagliato arrivò nel 1976 da Antony Sutton, ricercatore e docente universitario di economia, autore di Wall Street and the rise of Hitler. Nel libro si dimostra la tesi secondo la quale il capitalismo americano – banche e imprese – ha sostenuto l’ascesa del nazismo in Germania nella consapevolezza di preparare il terreno per un secondo conflitto mondiale. Nel resoconto di Sutton vengono rivelati i nomi dei principali attori (e beneficiari) del sostegno al nazismo: JP Morgan, Standard Oil, General Electric, i Rockefeller, General Motors, Rothschild, Ford (decorato dai nazisti) e altri tra banche e imprese. Nel libro si legge “Gli accordi con imprese americane erano numerosi e riguardavano operazioni di marketing, brevetti, scambi di tecnologie, come il trasferimento di tecnologia per la produzione di benzina sintetica da parte di Standard Oil [monopolio Rockfeller]. Queste intese erano utili aIG Farben per far avanzare la politica Nazista all’estero, raccogliere informazioni strategiche e consolidare nel mondo il cartello chimico.” 

Le cose sono cambiate? Il meccanismo dell’indebitamento viene utilizzato come allora, e come allora la biopolitica miete le sue vittime con altri mezzi. Ho cominciato con Agamben e chiudo con Agamben. “Non possiamo comprendere la logica dei grandi movimenti totalitari e l’invenzione da essi operata con i campi di concentramento se non riconosciamo il carattere biopolitico dei loro fondamenti ideologici. Nel campo di concentramento l’uomo viene spogliato di ogni statuto personale e politico e la sua identità viene a tal punto negata e misconosciuta che può essere ucciso da chiunque senza che l’atto venga qualificato come omicidio, proprio come l’homo sacer dell’antica Roma o il bandito del medioevo”. Finché il potere si rivolgerà all’essere umano come a un suddito, considerandolo nuda vita piuttosto che bios morale e politica, egli potrà essere ucciso legalmente, esattamente come nei campi di concentramento.

 





(27 marzo 2019)

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